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5 Aprile 2023

Intervista a Marco Nardini (Otago Literary Agency)

Autore:
Paolo Grossi

Marco Nardini. Cresciuto sull’isola di La Maddalena e in seguito trasferitosi a Bologna, lavora da vent’anni nel settore editoriale e culturale. Nel 2010 ha fondato l’agenzia letteraria Otago, che rappresenta oltre cinquanta autrici e autori italiani, in Italia e nel mondo, e i cataloghi di case editrici e co-agenzie straniere per il mercato italiano.

 

Attraverso quale percorso è arrivato a svolgere l’attività di agente letterario? 

Come tanti, ho lasciato il mio paese per andare a studiare a Bologna. Qui ho iniziato molto presto le mie esperienze lavorative nell’ambito dell’editoria libraria, toccando praticamente tutte le principali categorie della filiera: case editrici, librerie, distributori, uffici stampa. Con qualche breve parentesi in ambito musicale (in radio e presso un’etichetta discografica).

Finché un giorno ho letto la biografia di Erich Linder pubblicata da Sylvestre Bonnard e, affascinato da questo mestiere, nel 2010 ho deciso di aprire l’agenzia Otago, dopo un po’ di rodaggio come agente freelance.

 

A quali settori dell’editoria è più particolarmente dedicata la sua agenzia?

È innegabile che il nostro maggior focus sia sulla fiction, italiana e straniera. Abbiamo parecchia narrativa cosiddetta “letteraria”, ma anche commerciale e di genere. Ci dedichiamo poi anche alla saggistica divulgativa, soprattutto rappresentando cataloghi di clienti stranieri. E ultimamente ci stiamo aprendo all’editoria per ragazze e ragazzi, e agli illustrati.

In ambito estero abbiamo concentrato il nostro interesse sull’area scandinava, rappresentando diverse case editrici e agenzie importanti (rappresentiamo in Italia libri che sono stati primi in classifica fra i più venduti in Norvegia, Danimarca e Islanda, e hanno ottenuto premi come De Gyldne Laurbær e il Nordic Council Literature Prize); abbiamo poi clienti anche da altri territori, come il Canada, gli Stati Uniti, la Francia, e stiamo sondando nuovi mercati.

 

Alla luce della sua esperienza, quali tendenze vede profilarsi in questi settori?

La narrativa è un settore molto ampio, anche se bisogna dire che si produce più di quanto possa assorbire il mercato, ma questo è un problema annoso e di difficile risoluzione. In Italia funziona molto il romanzo straniero, probabilmente più di quanto all’estero funzioni quello italiano, a parte rari casi. E poi il mondo è grande per cui credo che dentro questo segmento ci sia ancora spazio, invece le autrici e gli autori italiani più validi sono ormai contesi da tante agenzie…

La letteratura scandinava riscuote sempre molto interesse in Italia, e c’è una costante ricerca anche verso la narrativa di lingue meno battute; penso che una delle prossime aree di grande interesse possa essere quella mediterranea e araba: ci sono grandi titoli ancora sconosciuti in Italia e il loro mercato cresce notevolmente.

Inoltre, è sempre florido il settore dei libri per bambini e degli young adult.

 

C’è il mercato nazionale e c’è quello internazionale: come vengono divise in agenzia queste due diverse attività? 

All’interno di Otago i compiti sono ben suddivisi fra i due soci, che coordinano le rispettive aree di responsabilità: io mi occupo di autrici e autori italiani e Vito di Battista dei clienti stranieri. Ma ciò è vero fino a un certo punto, perché poi ci diamo costantemente una mano l’un l’altro, ci scambiamo pareri, ci confrontiamo e ci “passiamo” lavori che riteniamo più adatti all’altro a seconda dei casi. Abbiamo poi una consolidata rete di co-agenzie straniere che operano sui loro territori per rappresentare i nostri titoli, così come noi rappresentiamo i loro per il mercato italiano.

Infine, da qualche tempo stiamo sviluppando il mercato del libro per ragazzi grazie alla nostra collaboratrice Alice Costantino, che mi aiuta anche nei rapporti con i produttori cinema/tv.

 

Quali tendenze vedi profilarsi nella narrativa italiana di questi anni? La letteratura di genere continuerà a crescere di peso? 

Mi sembra che la letteratura di genere – soprattutto i gialli – sia stabile nell’avere una larga diffusione, rimane sempre un buon filtro per indagare il contemporaneo. Per il resto, più o meno c’è sempre una continua crescita di interesse per l’autofiction, così come per storie legate agli affetti, alla famiglia, alla malattia; gli storici funzionano sempre molto bene, e pure un certo fantasy per i più giovani. Tuttavia, mi sembra che ci sia una buona risposta anche verso romanzi più letterari, con cui magari si fatica inizialmente per trovare l’editore giusto, ma che poi hanno vita lunga e felice attraverso i premi, le recensioni dei critici, le traduzioni ecc. 

 

Il successo di uno scrittore in patria non si traduce immediatamente in successo oltre frontiera. Quale “tipo” di scrittore vende bene all’estero? Quello più fortemente caratterizzato dalle sue origini nazionali (in altre parole, quello più “italiano”) oppure quello più internazionale? 

Esatto, non è detto che un libro di successo in patria riscontri lo stesso successo anche all’estero. Sicuramente è più facile vendere un best-seller, questo è vero, ma contano anche altre caratteristiche, oltre a una buona dose di “congiunture astrali”. 

Spesso quello che viene ricercato nei romanzi italiani è proprio un certo sapore di “italianità”, che può dipendere dall’ambientazione, dai protagonisti o da altri elementi. Ma non è detto. Neve, cane, piede di Claudio Morandini può esserne un esempio: non è un libro che definirei particolarmente “italiano”, eppure lo abbiamo venduto in diversi Paesi e ha vinto all’estero premi importanti come il Prix Lire en Poche in Francia, o ha raggiunto la seconda posizione al prestigioso premio inglese John Florio Prize. In questo caso hanno evidentemente vinto la scrittura e la caratterizzazione del protagonista.

 

Quale spazio occupa nel suo lavoro la ricerca di nuovi autori, l’attività di scout?

Ci guardiamo sempre attorno, il nostro lavoro è anche quello di scoprire nuovi talenti. Dico anche perché non è solo questo, come alcuni tendono a considerare. Ma è chiaro che se attraverso i premi, le riviste letterarie, gli invii spontanei o i consigli che riceviamo scorgiamo qualcosa di eccezionale, è nel nostro interesse portarlo in scuderia. 

 

Cosa pensa delle nuove sovvenzioni alla traduzione di libri italiani in lingue straniere proposte dal Cepell?

Sono molto importanti per la diffusione dei libri italiani all’estero. Ce n’è sicuramente bisogno ma, a mio parere, riguardo i bandi promossi dal Cepell sarebbe necessario coordinarsi meglio con le varie associazioni di settore (e quindi anche con ADALI, l’associazione delle agenzie letterarie di cui facciamo parte) per definire criteri che li rendano più accessibili e sensati: non si può chiedere ai proprietari dei diritti – che siano agenzie, editori o altro – di anticipare tutte le spese di traduzione, perché per molte piccole case editrici o agenzie questo è impossibile, e si finisce per sostenere maggiormente quella grande editoria che può permettersi l’investimento iniziale. Mi sembra più centrato invece il bando diffuso alcuni giorni fa dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. In questo caso, possono fare richiesta direttamente i soggetti stranieri e ricevere i contributi tramite gli Istituti di Cultura italiani all’estero.

Fotografia di Salvatore Lento
(Luce Narrante)

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