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30 Giugno 2020

Da Madrid: intervista a Carlos Gumpert, scrittore, critico e traduttore verso lo spagnolo

Autore:
Laura Pugno (Istituto Italiano di cultura di Madrid)

Carlos Gumpert è stato per diversi anni lettore all’Università di Pisa. Ha tradotto saggi, libri d’arte, letteratura infantile e giovanile e graphic novel, ed è specializzato in letteratura italiana contemporanea, con più di 130 traduzioni per le più prestigiose case editrici spagnole di autori quali: Antonio Tabucchi, Giorgio Manganelli, Erri De Luca, Carlo Emilio Gadda, Andrea Camilleri, Ugo Riccarelli, Helena Janeczek, Goffredo Parise, Alessandro Baricco, Italo Calvino, Umberto Eco, Primo Levi, Dario Fo, Massimo Recalcati, ecc. Scrive regolarmente articoli e recensioni sulla cultura italiana ed è autore, tra altri libri, di Conversaciones con Antonio Tabucchi (1995).
Laura Pugno, direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di Madrid, lo ha intervistato per newitalianbooks.it

Che spazio hanno e come influiscono il libro italiano e la letteratura italiana nel panorama editoriale spagnolo?

In termini quantitativi, la letteratura italiana ha un suo proprio spazio poiché, tradizionalmente, è la terza più tradotta al mondo, dopo quella inglese e francese ed in competizione con la letteratura tedesca. Per quanto riguarda il punto di vista qualitativo, invece, le sfumature sono molteplici, come vedremo nelle domande che seguono, anche se la situazione della letteratura italiana non è molto diversa da quella delle altre letterature (fatta eccezione, forse, per la letteratura in inglese) i cui autori più commerciali si vendono molto, mentre autori più impegnativi (ed i loro coraggiosi ed “arditi” editori) faticano a trovare uno spazio nel mercato e attenzione da parte dei lettori.
La questione dell’influenza è difficile da valutare ed ha subito molte oscillazioni nel corso del tempo, dal piccolo boom degli anni Ottanta fino ad una certa indifferenza attuale. In linea di massima direi però che tanto il lettore quanto l’editore spagnolo provano un’attrazione e una simpatia verso l’italiano che è superiore a quella verso altre culture, probabilmente per quel sentimento di cultura consanguinea (siamese, come la definiva García Márquez) che unisce, anche in molti altri aspetti, i due paesi. In Spagna già da diversi decenni, con radici profonde (anche nell’antifranchismo del dopoguerra), in Italia da tempi più recenti (direi dalla fine dell’ultimo decennio del secolo scorso).

Quale tipo di libro in italiano – romanzo, saggio, poesia, teatro, ecc.- cercano, a tuo avviso, le case editrici spagnole?

Questo dipende dalla casa editrice e dal genere. Poesia e teatro si traducono pochissimo, e fanno fatica a trovare il loro pubblico.
Non hanno mai avuto problemi né i best-sellers né le opere midcult (Moccia, Giordano, Tamaro) ed una casa editrice come Salamandra sembra essersi specializzata su quest’ultima tipologia. I grandi gruppi cercano di vendere, è logico, e scommettono sulle vendite sicure.
Ci sono però molte case editrici che pubblicano letteratura italiana di qualità, dalle case editrici medie, con Anagrama in testa, ma anche Siruela, Alfaguara, Tusquets, Lumen, ecc. E, negli ultimi anni, piccole case editrici indipendenti hanno reso noti autori imprescindibili, come Errata Naturae (Luciano Bianciardi ed Ennio Flaiano), Periférica (Ugo Cornia, Gianni Celati e Michele Monina) o Sajalín (Beppe Fenoglio).
Se c’è qualcosa in comune è che tutte, o quasi tutte, cercano letteratura poliziesca, genere di per sé lodevole, che però si è trasformato in una sorta di piaga che da alcuni anni toglie spazio ad altre proposte. E non si intravede alcun Cervantes che ponga fine al genere, come lui stesso fece con i libri di cavalleria.
Ho l’impressione che il saggio italiano, soprattutto quello divulgativo, abbia la sua eco nel nostro paese, con case editrici come Ariel, ma a questo proposito non mi considero un esperto.
Anche la letteratura infantile e giovanile ha il suo pubblico e le sue case editrici, (come Anaya, Edelvives, un po’ meno SM), che pubblicano autori italiani con una certa regolarità.

Quali libri importanti restano ancora da tradurre?

Di poesia e teatro resta ancora tantissimo, per i motivi a cui facevo riferimento precedentemente. Particolarmente preoccupante è il caso dei classici. Fatta eccezione per Dante, del quale esistono varie e celebri traduzioni, senza andare oltre, la stessa situazione di Petrarca e Boccaccio potrebbe essere di molto migliorata. Fino a poco tempo fa le traduzioni di Ariosto erano addirittura rinascimentali, e nemmeno Goldoni, Manzoni o Verga sono stati troppo ben tradotti, credo, o si tratta di traduzioni antiche. Fino a Pirandello, ovvero già nel XX secolo, la situazione non si normalizza, anche se Nievo e De Roberto sono stati tradotti di recente. Inoltre, le traduzioni che abbiamo sono in molti casi limitate a collane universitarie, come quelle di Cátedra, o non sempre presentano la qualità che ci si aspetterebbe.
Questo fenomeno riguarda tutte le letterature, non solo quella italiana, ed è dovuto in grande misura al fatto che le case editrici spagnole non hanno collane di classici. Possiamo citare come eccezioni, per l’attenzione da sempre manifestata verso i classici, le case editrici Akal e Acantilado.
Detto ciò, credo che il problema reale sussista non tanto nel fatto che non si traduce, quanto nella breve vita di molte traduzioni e nella scarsa attenzione dei lettori, che risulta desolante. Molti autori contemporanei interessanti si perdono nel male endemico dell’eccesso di pubblicazioni che affligge il sistema editoriale spagnolo. E questo colpisce sorprendentemente anche autori consacrati. Solo per citare i classici del XX secolo, l’immensa figura di Carlo Emilio Gadda non gode della giusta notorietà, e non per la mancanza d’impegno di una casa editrice come Sexto Piso; tanti altri autori di livello non inferiore restano in una specie di limbo, come Pavese e, forse, Sciascia (nonostante lo sforzo di Tusquets), Elsa Morante (nonostante Lumen) o Anna Maria Ortese (nonostante Minúscula), dal quale in parte si salvano Calvino e Pasolini.
Dal punto di vista personale, mi dispiace molto che due proposte che io stesso a suo tempo sottoposi a editori che le accettarono senza batter ciglio, perché univano al valore letterario una ricchezza di livelli che avrebbe potuto raggiungere molti lettori, come Sillabari di Goffredo Parise, Un uomo che forse si chiamava Schulz o Il dolore perfetto di Ugo Riccarelli, siano transitate per le librerie spagnole senza infamia e senza gloria.

Come si può fare per rendere (ancora) più strette le relazioni tra mondo editoriale italiano e spagnolo?

Ho l’impressione che, nonostante quanto detto e la naturale simpatia che unisce i due paesi, la scarsa conoscenza reciproca continui ad essere ed appesantita dai luoghi comuni. Inoltre, mi sembra che condividiamo, allo stesso tempo, un certo sentimento di reciproca svalutazione come paesi latini e di fascinazione nei confronti di altre nazioni, che ci porta a conoscere meglio queste ultime, trascurandoci tra di noi.
Per quello che riguarda la letteratura italiana, credo che sarebbe necessario uno sforzo da parte delle istituzioni italiane per diffondere più a fondo la propria cultura ed attivare una conoscenza di prima mano. Per fare un esempio, vedo che molte piccole case editrici sono eccessivamente influenzate dalla Sellerio che, comunque, è una straordinaria realtà editoriale, come se non fosse semplice approfondire la conoscenza diretta di altre possibilità, nonostante i moderni sistemi di scouting e le nuove tecnologie. Anche se non ne sono molto sicuro, credo che in Italia accada lo stesso, in senso inverso.

C’è qualcosa che vorresti aggiungere a questa conversazione?

Forse la cosa più importante. Per qualsiasi analisi sull’accoglienza della letteratura italiana come di qualsiasi altra letteratura, bisogna partire dalla base della debolezza del sistema socio-letterario-editoriale spagnolo, che conta su un numero estremamente ridotto di “lettori forti”, come si ama definirli in Italia, con cifre di vendite scarse, se non addirittura ridicole, in un contesto sociale che presta scarsissima attenzione alla letteratura. Analizzare le ragioni di questa situazione trascende i limiti di questa intervista (il tradizionale disdegno ispanico per la cultura, ostacoli educativi, ecc.) ma il fatto è che chiunque abbia viaggiato un po’ ha avuto l’opportunità di invidiare la forza e la ricchezza delle librerie, i supplementi culturali e persino la presenza della letteratura e della cultura nella stampa e televisione dei paesi vicini, e non parlo solo della Francia o della Germania, ma anche della stessa Italia. In tale contesto, non è quindi difficile capire tutto ciò di cui si è detto precedentemente.

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