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10 Febbraio 2022

Intervista a Massimo Rizzante

Autore:
Laura Pugno

Massimo Rizzante (1963) è poeta, saggista e traduttore. Ha fatto parte dal 1992 al 1997 del Seminario sul romanzo europeo diretto da Milan Kundera a Parigi. Insegna all’Università di Trento. Ha pubblicato le raccolte di poesia Lettere d’amore e altre rovine (1999), Nessuno (2007), Scuola di calore (2013) e Una solitudine senza solitudine (2020). Tra i saggi ricordiamo Non siamo gli ultimi (2009), Un dialogo infinito (2015), Il geografo e il viaggiatore (2017) e L’albero del romanzo (2018). Ha tradotto Milan Kundera e O. V. de Milosz per Adelphi; e curato opere di Crnjanski, Broch, Goytisolo e molti altri autori. Dirige le collane Elit e Saggi letterari per la casa editrice Mimesis e Biblioteca di poesia per Metauro. Collabora con le riviste “L’Atelier du roman” e “Letras Libres”.

www.massimorizzante.com 

 

Che quadro della letteratura italiana di oggi, e in particolare della narrativa, si può tracciare dall’osservatorio del Seminario Internazionale sul Romanzo?

Il SIR, fin da quando è nato, nel 2006, da una costola del Seminario sul Romanzo Europeo diretto, dal 1980 al 1997, da Milan Kundera all’École des Hautes Études di Parigi (la costola sarei io!) si è sempre occupato del romanzo, da quello delle origini (Rabelais, Cervantes) a quello moderno (da Kafka a Rushdie). Ma si è anche preoccupato di invitare romanzieri contemporanei italiani e stranieri, senza distinzione di patria e di lingua. La sua bussola è stata sempre: prima l’opera e poi tutto il resto. E, in secondo luogo: prima la prospettiva europea e mondiale, poi quella nazionale. La storia del romanzo è sempre stata sovranazionale, come quella di ogni altra arte. Perché nel XXI secolo, in piena globalizzazione, il romanzo dovrebbe nazionalizzarsi, provincializzarsi? La narrativa italiana, da questo punto di vista, ci è sembrata e ancora ci sembra ancora molto provinciale. A parte rarissimi casi, i romanzieri italiani ci sono sembrati dipendere quasi esclusivamente da modelli nazionali o al massimo da una ricezione piuttosto limitata di quelli nordamericani.

 

Che cosa ricercano i lettori, le lettrici, le studiose e gli studiosi stranieri nella letteratura italiana contemporanea? Quali caratteristiche sono percepite come fondanti e identitarie?

Il lettore, la lettrice, l’uomo che legge, questo esemplare sempre più in via di estinzione, oggi è alquanto confuso. Sia in Italia che negli altri Paesi. I lettori conoscono più i volti degli autori che il contenuto delle loro opere. Il mondo del mercato editoriale guarda già da molto tempo alla cosmetica più che all’estetica. Per molti scrittori il romanzo è diventato un pretesto per poi fare “il colpo” nel mondo del cinema o della televisione, che garantiscono ben altra visibilità. Nella stessa direzione va anche un’autrice come Elena Ferrante, che di recente ha riscosso molto successo in tutto il mondo: l’invisibilità assoluta è solo l’altra faccia dell’esposizione assoluta. Il suo caso è molto interessante perché ha trovato d’accordo sia gli studiosi che i lettori stranieri, e perfino qualche scrittore di rango. Tutti, forse, hanno trovato nei suoi romanzi le caratteristiche “fondanti e identitarie” del nostro Paese che, a nostro avviso, non sono tante diverse da quelle che ci hanno fatto conoscere nel mondo negli anni ’40 e ’50 del secolo scorso.

 

I prossimi anni vedranno l’Italia protagonista di due importanti appuntamenti editoriali internazionali, il Festival du Livre de Paris 2023, e la Buchmesse 2024. In che modo il mondo dell’università italiana guarda a questi appuntamenti, e quali misure potrebbero essere utili verso queste date?

Noi del SIR lo faremo ricordando l’opera di Gianni Celati, scomparso di recente, e promuovendo la lettura di alcuni scrittori che nel corso degli anni hanno partecipato alla nostra impresa, come Antonio Moresco, Michele Mari, Ermanno Cavazzoni ed Eraldo Affinati.

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