Intervista a Giovanni Turi, direttore editoriale di TerraRossa
Autore: Laura Pugno

La serie di interviste che newitalianbooks dedica alle realtà editoriali italiane per farle conoscere all’estero prosegue in questa puntata con il marchio TerraRossa. Risponde il direttore editoriale Giovanni Turi.
Come racconteresti l’identità della casa editrice TerraRossa ai lettori e alle lettrici di newitalianbooks all’estero? Quali sono le sue caratteristiche e i suoi punti di forza?
È una casa editrice di narrativa italiana che pubblica solo cinque titoli all’anno divisi in due collane: “Sperimentali”, opere inedite con un’attenzione particolare agli esordi; “Fondanti”, ripubblicazioni del recente passato andate fuori catalogo e riproposte in una nuova edizione. Ad accomunare tutti i nostri libri è la ricerca di autori con una voce e uno stile ben riconoscibili. Amiamo offrire al lettore stimoli e complessità che lo costringano a uscire dalla propria comfort zone, a diventare parte integrante della fruizione letteraria: può apparire azzardato in un mondo e in un’epoca che ci vogliono sempre più lettori, spettatori e cittadini inerti, invece, proprio per questo, diventa ogni giorno più necessario. Con ciò, non vogliamo ripudiare il semplice intrattenimento, ma ritentiamo che non debba bastarci e che non possa esser questo il fine di ciò che chiamiamo letteratura.
Quali scommesse, letterarie e non, hanno funzionato meglio in Italia ed eventualmente in altri Paesi e a tuo avviso, perché?
Innanzitutto, in Italia, La casa delle madri di Daniele Petruccioli, che nel 2021 ha raggiunto la dozzina del Premio Strega: un risultato impensabile per un editore così piccolo e per un autore esordiente, sebbene già noto nel mondo letterario come uno dei più autorevoli traduttori. Il suo è un romanzo caratterizzato da una scrittura ipotattica, ricca di incisi, parentesi, subordinate, a simulare la stratificazione della realtà, l’ambiguità delle interpretazioni. Petruccioli è bravissimo, poi, non solo a mostrarci come in ogni famiglia convivano nello stesso momento sentimenti antitetici (affetto e insofferenza, amore e odio) ma anche come, in qualche modo, siano i luoghi ad abitare noi e non solo viceversa. Resta solo il rammarico di non essere ancora riusciti a far tradurre quest’opera all’estero.
Al contrario, un altro dei nostri titoli più fortunati, La meravigliosa lampada di Paolo Lunare di Cristò è stato tradotto in Cile e Argentina da Edicola Ediciones e in Francia, Belgio e Svizzera dalle Editions Le Soupirail. In questo caso è una fiaba d’amore contemporanea che si innesta sul filone del realismo magico italiano (da Buzzati a Landolfi). Cristò in quest’opera suggerisce come in una relazione spesso la verità possa essere feroce, al contrario di un’omissione o una bugia.
Tra gli autori più rappresentativi della casa editrice, osannato dalla critica ma conosciuto da un pubblico ancora piuttosto ristretto, Ezio Sinigaglia: il suo romanzo d’esordio, Il pantarèi, pubblicato negli anni Ottanta e poi da noi riproposto nella collana Fondanti, è quello che ha avuto più riscontri tra i lettori nostrani. Un romanzo originalissimo in cui dei brevissimi saggi di critica letteraria sugli autori di rottura del ’900 (da Joyce a Proust, da Céline a Faulkner, da Svevo a Kafka) si alternano alle vicende del protagonista, un redattore editoriale abbandonato dalla moglie, della quale è ancora innamorato, e attratto dai ragazzi. Sinigaglia aveva portato in Italia il postmodernismo, l’autofiction e la libertà del desiderio con un ventennio di anticipo. A essere stato tradotto all’estero è però quello che lui stesso considera il suo capolavoro: Fifty-fifty, da TerraRossa pubblicato in due volumi e riunificato invece nell’edizione francese di Galaade.
Ottimi riscontri sta anche riscuotendo Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia, romanzo d’esordio di Michele Ruol, vincitore del Premio Berto e del Premio Megamark, finalista al Premio Mastercard Esordienti, libro del mese della trasmissione Fahrenheit su Radio3 Rai, presentato da Walter Veltroni all’ultimo Premio Strega [e ora accolto nella dozzina dei finalisti, N.d.R.], già opzionato da una casa di produzione cinematografica e in corso di traduzione in Francia per Le Tripode (ma c’è già stato l’interessamento anche di case editrici statunitensi e serbe). In questo caso a determinare il successo è stata senz’altro anche l’originalità della struttura narrativa: si tratta di un vero e proprio inventario in cui a ogni oggetto si lega un racconto, un episodio che conduce il lettore avanti e indietro nel tempo, prima e dopo la catastrofe che coinvolge una famiglia, e merito di Ruol è anche quello di aver saputo raccontare il lutto in maniera estremamente delicata ed equilibrata.
Un altro esordio che ha ottenuto una discreta fortuna, e che ne avrebbe meritata ancor di più, è stato anche Mia e la voragine di Diana Ligorio, selezionato per il Premio Campiello Junior. È la storia di una ragazzina claudicante che racconta con il suo sguardo trasognato e ricco di inventiva il rapporto con sua madre, con i coetanei e con le proprie fragilità. Siamo certi che sarà un’autrice che si farà strada, così come Ilaria Grando, di cui abbiamo da poco pubblicato Lettere minuscole, storia di sublimazione del dolore attraverso la scrittura, e come i prossimi esordienti che lanceremo tra l’autunno e il prossimo anno: Germano Antonucci, Ugo Bertello, Maria Teresa Rovitto, Mattia Cecchini.
