Alias. Antologia translingue di poesia italo-spagnola contemporanea
Intervista a Dalila Colucci e Leonarda Trapassi
Autore: Paolo Grossi

Dalila Colucci, ricercatrice presso l’Università di Siviglia, dottorata alla Scuola Normale Superiore di Pisa e ancora all’Università di Harvard, ha curato per l’editore Ensemble di Roma il volume Alias. Antologia translingue di poesia italo-spagnola contemporanea insieme a Leonarda Trapassi, professoressa associata di Lingua e Letteratura Italiana presso l’Università di Siviglia.
È recentemente uscito per le edizioni Ensemble di Roma il volume Alias. Antologia translingue di poesia italo-spagnola contemporanea a cura di Dalila Colucci e Leonarda Trapassi. Come è nato questo progetto editoriale e in quale contesto si colloca?
Dalila Colucci: Quasi un riflesso dell’intreccio di lingue, relazioni e traduzioni che ne nutrono la struttura, Alias nasce da una fortunata corrispondenza affettiva e intellettuale, ovvero dall’incontro con Alibi. Prima antologia bilingue di poesia italiana nel Regno Unito, curata da Marta Arnaldi e Luca Paci per l’evocativa collana «Erranze» di Ensemble (2022), alla cui rete aveva partecipato Beatrice Sica, amica di sempre che scoprivo lì poetessa dagli evocativi versi danteschi. Il volume è sembrato subito a me e a Leonarda Trapassi – con la quale condividevo, nella primavera del 2022, un corso di traduzione italiano-spagnolo all’Universidad de Sevilla – un’ideale palestra di poesia, trasposizione e interpretazione, inscindibilmente legate nella trama della raccolta, fatta di testi veramente ‘migranti’, sospesi tra lingue, culture e pratiche traduttive diverse. Ne sono dunque presto seguiti un laboratorio di resa allo spagnolo di una selezione di versi – affrontato dai nostri studenti e poi divenuto parte di Translating Illness, il progetto interdisciplinare di Marta Arnaldi presso la University of Oxford, come un’indagine sul valore terapeutico di poesia e traduzione (https://translatingillness.com/2022/10/26/translating-alibi/) – e la successiva presentazione dell’antologia a Siviglia nel maggio del ’22, in presenza della curatrice e di Beatrice Sica, con interventi a distanza di Nicola Gardini e Jonathan Galassi. Il direttore di «Erranze», Gëzim Hajdari – poeta albanese naturalizzato italiano, che da anni si dedica a ricostruire la mappa poliforme del translinguismo europeo –, ci ha allora invitato ad allestire un’antologia sorella di Alibi, dedicata alla poesia italiana in Spagna. Nell’intraprendere con entusiasmo il progetto, io e Leonarda ci siamo tuttavia rese presto conto che una replica del volume inglese sarebbe stata impossibile nel contesto spagnolo. Quest’ultimo – per natura sua e delle lingue convolte – si mostrava infatti non semplicemente bilingue, ma translingue, contemplando non solo (o comunque non tanto) autori italiani da tradurre in spagnolo, ma una multiforme varietà di approcci alla poesia radicati in un’indistricabile compresenza linguistica: presentandoci cioè una congerie di poeti sia spagnoli che italiani immersi in pratiche multiple di scrittura e traduzione, pronti a transitare da una lingua all’altra senza alcuna predominanza dell’idioma materno (talora addirittura rifiutato da chi, come Ángelo Néstore, adotta unicamente la lingua ‘seconda’, ricorrendo a una traduttrice per la versione in italiano). Rilanciando in forme iper-contemporanee l’antica tradizione translingue italo-spagnola dei secoli XVI e XVII – sviluppatasi per reciproche influenze politiche ma soprattutto letterarie tra la Penisola Iberica e gli Stati italiani: non si dimentichi che nella lingua toscana scrissero autori del calibro di Quevedo e Lope de Vega –, i 17 poeti di Alias assumono insomma intenzionalmente la lingua altra (talora integrandola pure di codici terzi: presenti sono, ad esempio, il francese, il portoghese, il catalano, l’inglese, il latino e il greco antico) per creare direttamente o auto-tradursi, dando voce a un desiderio di ubiquità fisica e artistica. È forse proprio questa condizione desiderante – moltiplicata nella dimensione dialogica dell’antologia, dove poeti e poete collaborano spesso alla traduzione di versi altrui – a fare di Alias uno spazio di translinguismo aperto e felicemente disomogeneo, non solo aggiornando gli importanti studi sul fenomeno (come quelli di Profeti, Canonica, Ventura e del loro nume tutelare, Benedetto Croce),[1] ma soprattutto restituendolo a una visione doppia (che ne consideri entrambi i versanti) e rompendo altresì i confini dell’indagine, ora solo letteraria ora solo traduttologica, cui è stato limitato nel tempo. Annullando la differenza – e la priorità – tra lingua fonte e lingua meta, l’antologia si configura così come un unicum nel panorama poetico contemporaneo: una collezione di alternative e di varianti (ma anche una congerie di alia, se vogliamo: di cose nuove, impreviste), che rivelano la straordinaria ricchezza e vitalità del fondale italo-spagnolo, troppo spesso svalutato a causa dell’apparente vicinanza tra le lingue.
Un’antologia è, per definizione, frutto di una selezione. Quali criteri vi hanno guidato nella scelta degli autori e dei testi?
Dalila Colucci: Il criterio iniziale è stato, come prevedibile, il translinguismo degli autori: registrato nelle prime poete italiane selezionate per l’antologia (quali Laura Pugno e Roberta Buffi), esso è subito apparso come un’evidenza fertile di prospettive in una serie di poeti spagnoli a noi prossimi per ragioni accademiche e, una volta di più, affettive. Ci era nota, ad esempio, la lunga pratica translingue di Miguel Ángel Cuevas, professore ordinario di Letteratura Italiana nella nostra Università nonché grande traduttore (di Pasolini, Consolo, Attanasio, tra gli altri), che da anni scrive e pubblica le sue poesie in spagnolo e italiano, auto-traducendosi in ambedue le lingue. Includerlo nell’antologia ci è presto sembrato indispensabile per tracciare un profilo autentico della “poesia italiana in Spagna”, come ci era stato richiesto. Proprio grazie a lui ci siamo altresì messe in contatto con Sebastiano Burgaretta (poeta italiano dai versi linguisticamente stratificati, nei quali si incontrano spagnolo, siciliano, greco antico) e con José María Micó (già traduttore di Dante e Ariosto, nonché poeta e musico d’eccellenza, anche in lingua italiana), inaugurando così una pratica essenziale per la costruzione di Alias, che si è andata formando attraverso le segnalazioni di poeti e studiosi. A due colleghi delle Università di Girona e Barcellona – Giovanni Albertocchi e Raffaele Pinto (egli stesso poeta translingue, che ad Alias ha partecipato con i suoi sonetti) – dobbiamo ad esempio l’incontro con Begonya Pozo e Gaia Danese, poete (valenzana l’una, diplomatica di mestiere l’altra) impegnate in un lavoro di costante traslitterazione di universi linguistici. La traduzione stessa ha a quel punto pure assunto valore di criterio, volendo Alias annoverarne tutte le forme: la già menzionata auto-traduzione; la traduzione allografa (quest’ultima praticata come un’eco degli scambi umani e culturali all’interno del volume, essendo i traduttori e le traduttrici a loro volta poeti, quasi sempre inclusi in Alias); la riscrittura creativa. È proprio vero, in tal senso, quanto scrive Bernardo Santos – poeta sivigliano e ormai grande amico, che ad Alias ha contribuito non solo come autore, ma come traduttore e promotore, intessendo una fitta rete di relazioni: è lui che ci ha avvicinato a Rocío Nogales Muriel e ad Ángelo Néstore – e cioè che nell’antologia ‹‹Babel se reconoce y ama / como una torre posible, donde la traducción / es la empresa principal de las literaturas›› (Europa, Europa). La traduzione ha quindi guidato non solo la selezione degli autori – tutti direttamente legati ad una delle menzionate forme e tutti consapevoli del loro translinguismo – ma pure la scelta dei testi, che abbiamo richiesto (da un minimo di 5 a un massimo di 10) sulla base della disponibilità a trasporli nell’altra lingua e della contemporaneità dell’operazione, anche rispetto a versi remoti nel tempo (come ad esempio quelli di Alessandro Mistrorigo, scritti tra il 1999 e il 2001, ma tradotti o comunque rivisti proprio per l’antologia). Questo perché la marca del contemporaneo si è rivelata imprescindibile a restituire l’istantanea di una situazione per sua natura in fieri come quella del translinguismo, di per sé concetto mobile e mutevole, condizionato dal tempo (della scrittura, della lingua, della traduzione). Non per questo, naturalmente, si è abdicato alla qualità della selezione poetica: criterio in sé apparentemente ovvio, eppure non del tutto scontato in un contesto straniero, nel quale era essenziale la rappresentazione di una molteplicità di voci, il più possibile completa. Pure, il nostro obiettivo è stato quello di mantenere un alto livello letterario. Lo confermano i nomi inclusi nel volume (a quelli già menzionati sono da aggiungere, per inciso, Matteo Lefèvre, Francisco Deco, Marisa Martínez Pérsico, Ignacio Cartagena), tutti poeti, docenti, traduttori affermati. A questi, invero, si accompagna una sola esordiente: io stessa. Dei miei quattro testi, uno dà il nome all’antologia tutta.
Alias consente al lettore di compiere un percorso trasversale nella poesia italiana e spagnola contemporanea. In questo itinerario, programmaticamente posto all’insegna dell’ubiquità, dell’erranza e del translinguismo, si riconoscono ancora delle specificità culturali e linguistiche?
Leonarda Trapassi: Vi sono senz’altro delle specificità nella declinazione della simbiosi bilingue praticata dai poeti italiani che scrivono in spagnolo e dagli spagnoli che scrivono in italiano. Quanto a questi ultimi – che assumono la lingua altra per ragioni spesso letterarie o latamente culturali –, sembra prevalere un carattere intellettuale (a metà tra la riflessione metapoetica e quella metalinguistica, sempre sul crinale tra serietà e ludus) applicato a due nuclei tematici principali: l’amore e la satira (sociale e politica), che paiono a tratti un lascito della tradizione translingue del Cinque-Seicento. Ciò si fa tanto più evidente nei versi dei poeti traduttori – Cuevas e Micó in particolare, ma anche Deco, in cui è forte l’impatto della traduzione musicale – nei quali si avverte il consapevole riuso di modelli (invero anche della tradizione ispanica), con un’attenzione particolare alla scelta di parole culte o etimologicamente stratificate (si veda Metatrópica di Cuevas, o la riscrittura del mito degli Argonauti in Butes di Deco). In Apocryphi di Ignacio Cartagena, all’uso dell’italiano si accompagna pure quello del latino, che aggiunge una nota straniante alla scelta translingue, ‘apocrifa’ nel senso dell’appropriazione di un certo paradigma poetico, qui rivelato solo nell’auto-traduzione in spagnolo (Tres apócrifos de Montale). Meno filtrata dall’intellettualismo si mostra invece la poesia scritta in spagnolo dagli italiani – con due eccezioni di rilievo: Matteo Lefèvre e Laura Pugno, già traduttori di classici spagnoli e che rafforzano piuttosto, anche nei loro versi, il legame tra traduzione e tradizione –, per i quali la lingua ispanica vale più come mezzo di creazione (e talora di liberazione vera e propria, come accade per Néstore), che non di ri-creazione letteraria. Si registra poi, soprattutto in autori e autrici il cui polo d’origine è l’italiano, anche una contaminazione lessicale e sintattica talora condensata in costrutti volutamente inusuali, prestati dalla lingua acquisita, che producono un translinguismo criptico, come nel caso di Gaia Danese (si pensi all’uso del gerundio al v. 8 di A Raúl: “Mi viene in mente quella ninfea sbocciando in un polmone”). Altre volte, invece, è un terzo codice a farsi espediente autotraduttivo: così accade, nei testi di Roberta Buffi, per l’uso del francese per i titoli (Main d’Amants, Le Baisier), una sorta di trait d’union tra le lingue sorelle “in bilico”. In entrambi i casi ciò riflette, a mio parere, l’atavica abitudine della nostra poesia (da Dante in poi) ad accogliere e fare proprie molteplici varianti (alias), codificandone le impurità.
[1] Che con il suo saggio del 1895, Italiani che scrissero in ispagnuolo tra Cinque e Seicento, offriva una prima fondamentale ricognizione nel campo del translinguismo italo-spagnolo.
