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15 Novembre 2021

Conoscere e capire: i traduttori hanno sempre avuto questo ruolo di esploratori. Intervista a Lise Chapuis

Autore:
Federica Malinverno (ActuaLitté)

Lise Chapuis è titolare di un dottorato in letteratura francese e comparata. Un bel giorno si è appassionata all’italiano, al punto di diventare traduttrice. Per le edizioni L’Arbre vengeur, dirige la collana “Selva selvaggia”, che offre ai lettori francesi la possibilità di scoprire numerose opere del Bel paese, classiche e contemporanee.

Cosa l’ha portata a diventare traduttrice e come mai proprio dall’italiano?

Le origini della mia famiglia non sono italiane e non ho imparato l’italiano a scuola, ma l’inglese e il tedesco, ed anche molto latino. Ho iniziato ad andare in Italia durante i miei studi di lettere moderne: il viaggio classico, per visitare le grandi città d’arte, i musei, Venezia, Firenze… Una vera rivelazione… Mi sono messa allora a imparare l’italiano per conto mio, prima di intraprendere un corso di studi all’università. Avevo una passione per le lingue, ed è la lingua italiana che l’ha fatta pienamente sbocciare. Debbo dire che, ancora oggi, dopo molti anni di studio e di pratica, scopro ogni giorno questa lingua in tutta la sua ricchezza.

 

Da quanto tempo pratica questa attività?

Le mie prime traduzioni risalgono al 1986-87. Ero lettrice di francese all’Università di Pavia quando una mia amica docente di letteratura italiana, Maria Antonietta Grignani, mi consigliò vivamente un bel libretto pubblicato da Sellerio, Donna di Porto Pim, di un certo Antonio Tabucchi. Leggendolo, mi venne da pensare che mi sarebbe piaciuto scrivere qualcosa del genere. Ma come condividere questa scoperta? Fu allora che mi si presentò l’idea di tradurre: nel mio entusiasmo, subito contattai Antonio Tabucchi, allora professore a Genova, e poi mi rivolsi all’editore Christian Bourgois, detentore dei diritti per la Francia. Bourgois mi propose un contratto non solo questo libro e per Nocturne indien, che anche mi era piaciuto molto. Quello fu l’inizio della mia carriera di traduttore. Sarò sempre grata ad Antonio Tabucchi e a Christian Bourgois per aver avuto fiducia in me. Non so se sarebbe possibile oggi, chissà?, almeno lo spero. Hanno dato a una principiante, una sconosciuta una chance, e bisogna dire che ha funzionato bene perché Nocturne indien ha subito vinto il premio Médicis Etranger 1987. 

 

Durante la sua carriera, quali cambiamenti ha osservato nella professione di traduttore?

Molto presto ho avuto la fortuna di incontrare una traduttrice membro dell’ATLF (Association des traducteurs littéraires de France), Claire Cayron, e grazie a lei ho preso rapidamente coscienza che la professione di traduttore esisteva sì, ma era considerata po’ subalterna e che perciò andava consolidata e difesa. E mi sembra che, grazie al lavoro svolto dalle associazioni, ci siano stati davvero risultati molto positivi. Lo statuto dei traduttori si è rafforzato.

Stiamo assistendo oggi a una crescente professionalizzazione di questa attività, è un fatto positivo che esistano specifici percorsi di studio a livello universitario. E mi sembra che sia stata avviata una seria riflessione sulla specificità delle lingue tradotte, in termini di formazione e di politiche editoriali. C’è ancora un grande squilibrio tra le lingue tradotte: ci sono enormi aree del pianeta in cui si traduce pochissimo, e questo non è accettabile. Occorre conoscere e capire: i traduttori hanno sempre avuto questo ruolo di esploratori, di passeurs di cultura. Per fortuna la loro visibilità oggi è molto migliore rispetto a quando ho iniziato, e ora alcune case editrici mettono i nomi dei traduttori in copertina.

 

Durante la sua carriera, quali sviluppi e tendenze ha osservato nella letteratura italiana? E in quello che è stato comprato in Francia?

Penso che non sia facile avere una visione d’insieme della letteratura in cui si vive, sia essa francese o italiana. Quando ho iniziato, si parlava di Antonio Tabucchi, Pier Vittorio Tondelli, Andrea De Carlo, Daniele Del Giudice, Alessandro Baricco come di una specie di “generazione”: avevano in comune, mi sembra, un linguaggio relativamente classico, che forse si era formato leggendo autori come Italo Calvino o Cesare Pavese, e tematiche non esclusivamente italiane (Tondelli, De Carlo viaggiavano, Tabucchi parlava del Portogallo…), come portate da un movimento centrifugo.

Poi mi sembra che ci sia stato un movimento di ritorno verso l’Italia nella sua diversità, come una sorta di inventario di luoghi e situazioni locali, con un ricorso più marcato a temi regionali e alle loro lingue, o attraverso l’aperta introduzione che del dialetto o solo attraverso la sua evocazione sullo sfondo, in entrambi i casi una vera sfida per i traduttori… Non si tratta di un ripiegamento, ma di un diverso sguardo sul mondo circostante, che può mirare all’universale attraverso il locale. Giosuè Calaciura, per esempio, quando parla del Borgo Vecchio, non è solo quello di Palermo, come ha detto spesso, ma tutti i “Borgo Vecchi” del mondo.

È vero che una delle caratteristiche della cultura e della storia italiana è quella di avere una forte base regionale, con una diversità di luoghi di produzione culturale, in particolare di case editrici, che sono meglio distribuite in tutto il paese che in Francia, nonostante vi sia oggi una tendenza a concentrarsi nel nord del paese. Questo ancoraggio regionale può però, se non controllato, portare al rischio di una sorta di provincializzazione. Ne consegue che alcune case editrici francesi possono cedere alla tentazione di privilegiare temi che sfiorano gli stereotipi, soprattutto quando si tratta del Sud: una sorta di esotismo un po’ convenzionale, a mio parere pericoloso per una corretta percezione di ciò che sta realmente accadendo in Italia oggi.

Tuttavia, la creazione letteraria italiana è dinamica, diversificata certamente nei luoghi, il che è la sua ricchezza e la sua specificità, ma anche nell’approccio ai temi più contemporanei e nella ricerca artistica e formale.

Come traduttrice, però, mi sembra che oggi sia meno facile fare proposte alle case editrici, o almeno far accettare voci veramente originali o originali ricerche formali. Questo è dovuto alla maggiore presenza di agenzie letterarie? Non lo so, ma dobbiamo stare attenti e sperare che gli autori che si allontanano dai sentieri battuti possano continuare a raggiungere il pubblico francese. E questo è spesso possibile solo grazie al lavoro svolto da piccole case editrici, come L’Arbre vengeur, con cui collaboro e che ha accettato di pubblicare autori come J.R. Wilcock, una figura originale, o Francesco Permunian, uno scrittore molto più vicino a Guido Ceronetti che agli stereotipi sul Mezzogiorno. Per queste case editrici il rischio è certo grande, speriamo che possano continuare a farlo… 

 

Come percepisce l’attuale evoluzione del mercato del libro in Italia?

Penso che in l’Italia ci sia una grande creatività, un’editoria vivace, molto curiosa di quanto accade all’estero e molto aperta alla traduzione, anche se i traduttori hanno meno visibilità che in Francia e l’editoria italiana è molto meno sovvenzionata. La vita letteraria è molto dinamica, e numerosi sono i siti web, i blog, le manifestazioni, i festival…. 

 

Quali titoli ha appena tradotto e su quali sta lavorando ora?

Ho iniziato a tradurre l’ultimo titolo di Giosuè Calaciura, pubblicato da Sellerio nel 2021, dal titolo Io sono Gesù, un libro che ha avuto un’ottima accoglienza critica in Italia. Seguo questo autore da molto tempo, questo sarà il suo sesto libro da me tradotto. Il tema (la vita di Gesù prima che diventasse Gesù) non può non suscitare curiosità. Sono da sempre colpita dallo stile narrativo di Calaciura, dal suo linguaggio, che combina il prosaico e il poetico con effetti sorprendenti.

Un altro libro che mi è piaciuto molto tradurre, L’étrangère (La straniera, La Nave di Teseo, 2019), di Claudia Durastanti, sarà presto pubblicato da Buchet-Chastel: una sorta di romanzo autobiografico sull’esperienza di una ragazza, i cui genitori sono sordi, che vive tra Italia e Stati Uniti. È un libro dalla struttura originale, dal taglio sociologico, con una lingua attraversata dal bilinguismo e dai problemi linguistici famigliari. Molto interessante da leggere, e naturalmente da tradurre. L’editrice Viviane Hamy ha pubblicato da poco, in occasione del torneo tennistico Roland Garros, La Divine, di Gianni Clerici, una biografia di Suzanne Lenglen, una donna incredibile, una stella del tennis degli anni Venti, una vera star. Non avevo mai tradotto un testo di questo tipo, non tanto letterario quanto storico, e ho trovato affascinante immergermi nella ricostruzione di un’intera epoca. La mia ultima traduzione è appena stata pubblicata da Denoël: Écrire, mode d’emploi à l’usage des auteurs en herbe et autres amoureux de la littérature di Vanni Santoni, un piccolo testo vivace e un po’ polemico sull’insegnamento della scrittura creativa. Infine, in collaborazione, sto traducendo per le edizioni Agullo, un romanzo di Laura Mancini, Rien pour elle (Niente per lei), che esplora, attraverso le tappe di una vita, zone di Roma poco frequentate dalla letteratura, e ancor meno dai turisti.

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