La parola al traduttore
19 Febbraio 2025

Intervista ad Anna Jampol’skaja, traduttrice dall’italiano al russo

Autore: Daniela Rizzi, Università Ca' Foscari, Venezia

Intervista ad Anna Jampol’skaja,  traduttrice dall’italiano al russo

Сome è nata la sua relazione con la letteratura italiana? C’è stato un episodio, un incontro particolare nella sua biografia?

Il primo libro italiano che mi è rimasto impresso è la Vita di Benvenuto Cellini, pubblicato dalla casa editrice Akademija. Ricordo che cominciai a leggerlo e non riuscivo a staccarmene: avevo circa dodici anni, per me questo libro era come un romanzo d’avventure di Verne o Stevenson. Qualche anno dopo ho letto con grande piacere autori come Moravia e Pavese, che venivano pubblicati nella collana “Maestri della prosa contemporanea”. I miei genitori erano abbonati alla rivista Inostrannaja literatura (Letteratura straniera), che pubblicava regolarmente autori italiani. La leggevo persino a scuola, durante le lezioni più noiose, cosa che non di rado portava a situazioni imbarazzanti…

 

Lei lavora presso la cattedra di traduzione letteraria dell’Istituto letterario Gorkij da più di vent’anni. Come è cambiato l’interesse degli studenti nei confronti del libro italiano negli ultimi anni?

Come dicevano scherzando nella redazione di Letteratura straniera, sarebbe più esatto chiamare la rivista Vita straniera: ai tempi dell’Unione Sovietica era una finestra aperta su un mondo che non avevamo la possibilità di vedere con i nostri occhi. Trent’anni fa questo suscitava negli studenti un’enorme curiosità. Poi gradualmente viaggiare in Italia ha smesso di essere qualcosa di riservato a pochi eletti, e si è cominciato a guardare al vostro paese con occhi più disincantati: oggi si può parlare non di una cieca esaltazione, ma di un amore consapevole e autentico. Questo è vero anche per i libri: ora è più facile procurarseli e si sono quindi create le condizioni per confrontare gli autori italiani con quelli di altri paesi, compresi i russi. Lo studente d’oggi può tranquillamente giudicare mediocre un libro italiano che ha vinto un prestigioso premio letterario, o trovare che imita la maniera di un altro autore straniero, e per converso riesce ad apprezzare meglio le specificità della vostra letteratura nazionale. In ogni caso, i giovani continuano a provare un vivo interesse per la letteratura italiana, che attualmente è rappresentata in Russia in maniera molto più ampia e variegata: da un lato un po’ alla volta stiamo colmando le lacune del passato, traducendo autori che per diversi motivi sono arrivati da noi solo negli ultimi anni (a esempio Curzio Malaparte o Anna Maria Ortese); dall’altro, accanto alla narrativa, adesso si pubblica volentieri anche non fiction, letteratura per l’infanzia e per gli adolescenti, fantasy, fumetti, graphic novel. Gli studenti ora hanno maggior scelta, possono trovare ciò che sentono più vicino ai loro interessi e alla loro sensibilità.

 

Il lavoro del traduttore gode ancora del prestigio di cui godeva un tempo nella cultura letteraria russa?

Temo di no. La nostra professione ha perso parte del suo prestigio, e il motivo è quello che ho detto prima: in passato il traduttore era colui che faceva da tramite con il mondo inaccessibile dei paesi stranieri, che ora invece sono diventati raggiungibili per chiunque. È cambiata anche la posizione del traduttore nel mondo editoriale: gli editori ascoltano meno i consigli dei traduttori nella scelta dei titoli da pubblicare, e si lasciano orientare piuttosto dalle classifiche delle vendite, dai premi vinti, dai contatti con gli agenti, da ciò che viene presentato alle fiere del libro. Il traduttore letterario è diventato quasi invisibile: se ne parla male quando la traduzione non piace, ma se invece è giudicata buona quasi nessuno si ricorda di chi è. Eppure, il mestiere del traduttore attrae ancora, anche se gli studenti vanno avvertiti, per onestà, che non si può campare solo di questo. Ma è una professione creativa, che dà la stessa soddisfazione che prova uno strumentista a eseguire le opere di grandi compositori.

 

Quali autori italiani ha tradotto recentemente? Sceglie Lei stessa le opere che vorrebbe tradurre o vengono proposte dagli editori?

È appena uscita la mia traduzione del romanzo di Alessandro Piperno Di chi è la colpa e presto usciranno i racconti di Zanzotto. Ho già pronta per la consegna la traduzione del romanzo di Gianfranco Calligarich L’ultima estate in città. Il prossimo progetto a cui mi dedicherò è il romanzo di Natalia Ginzburg Tutti i nostri ieri.

Per quanto riguarda la selezione, a volte accolgo le proposte degli editori, a esempio per le edizioni Corpus ho tradotto Paolo Cognetti, Elena Ferrante, Paolo Sorrentino, Paolo Giordano, Umberto Eco. Altre volte riesco a far accettare agli editori le mie scelte: una raccolta di opere del primo Aldo Palazzeschi, La letteratura e gli dèi di Roberto Calasso, un volume di favole e versi di Roberto Piumini. Uno dei miei lavori degli ultimi anni è la traduzione del romanzo L’iguana di Anna Maria Ortese, uscito in un numero della rivista Letteratura straniera dedicato alle autrici italiane, da me curato [n. 5, 2022]. Tengo molto a questo numero, è un progetto che ha avuto una gestazione di quasi vent’anni: confesso che persuadere la redazione e i colleghi maschi non è stato semplice. A differenza dell’Italia, da noi la letteratura femminile solo di recente ha cominciato a essere considerata un fenomeno a sé stante e degno di attenzione. A me è sembrato importante illustrarlo nella sua prospettiva storica, e non come prodotto di una ‘moda’ contingente. In questo senso c’è un collegamento con un altro mio lavoro abbastanza recente, la traduzione di Artemisia di Anna Banti (2021), un libro che ha avuto ottima accoglienza presso coloro che amano la letteratura e l’arte. Quasi contemporaneamente è uscito il romanzo Hanno tutti ragione di Paolo Sorrentino, a cui ho lavorato con estremo piacere. Sorrentino in Russia gode di grande popolarità, i suoi libri sono dei bestseller.

È doveroso aggiungere che i libri da me scelti e proposti, e anche i numeri speciali della rivista Letteratura straniera dedicati all’Italia [oltre a quello citato, il n. 12 del 2018] sono stati pubblicati grazie al sostegno finanziario dell’Istituto Italiano di cultura e del Ministero degli esteri italiano. Gli editori non si arrischiano a pubblicare autori che difficilmente reggono tirature consistenti, e quindi non portano profitti adeguati, perciò i contributi che integrano il budget sono indispensabili.

 

È lunga la “lista di attesa” di autori che intende tradurre?

C’è una serie di autori che vorrei tradurre, sia autori dei secoli passati sia contemporanei. Non li nomino: alcuni aspettano da tempo il loro turno, altri magari attirano il mio interesse ma poi cambio idea. A esempio, sarebbe interessante lavorare su autori nei quali si avverte il legame con il territorio. Per la Russia questo è insolito: per noi le tradizioni locali – a livello linguistico e di mentalità – hanno molto minore importanza. Ma ci sono tanti buoni autori italiani che non sono ancora stati tradotti e vanno rivelati al pubblico russo. In generale, a me interessano gli autori che sul piano artistico e formale rappresentano una sfida che in precedenza non mi è capitato di affrontare.

 

Qual è, secondo lei, la principale regola di un traduttore? O si tratta di un insieme di regole? Queste regole sono cambiate nell’arco della sua attività?

Penso che la prima regola per un traduttore sia essere aperto all’ascolto dell’autore. Non a caso i buoni traduttori di norma sono persone dotate di intuito psicologico. Non si deve mettere il proprio “io” in primo piano, e del resto non ce n’è alcun bisogno se si ha a che fare con un autore di talento. Quando traducevo Malaparte, a esempio, avevo la sensazione di essere su una pista da ballo con un partner molto abile: il risultato sarebbe stato buono se mi fossi semplicemente lasciata guidare senza prendere io l’iniziativa.

E c’è un altro pericolo, quello di elaborare una certa maniera e di attenersi a un novero più o meno ampio di soluzioni. Per questo è importante provare a tradurre testi diversi per stile e forma. I miei studenti li faccio sempre esercitare sui versi, anche se vogliono diventare traduttori di prosa. È necessario far evolvere costantemente il gusto e la capacità di recepire. Bisogna leggere gli autori russi per arricchire il proprio repertorio linguistico, ma anche sviluppare l’orecchio e l’occhio, ascoltare musica, vedere opere d’arte figurativa e messinscene teatrali. Prendiamo la componente musicale di un testo: la tonalità, il ritmo, l’alternarsi delle pause. Molto di tutto ciò è l’intuizione che ce lo fa riconoscere, ma l’intuizione si basa sulla quantità di quello che abbiamo visto, ascoltato e letto.

Nello stesso tempo occorre scegliere, dedicarsi solo a buoni autori, perché cercare di migliorare un testo, di mascherarne i difetti, è un compito ingrato. E naturalmente è molto importante amare ciò che si traduce: a volte è un sentimento che non si prova subito, ci si abitua al proprio autore come alla persona con cui si vive, ma senza l’amore l’unione è destinata a non portare buoni frutti.

 

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