La parola al traduttore
5 Febbraio 2025

Intervista a Nathalie Castagné, traduttrice e biografa di Goliarda Sapienza

Autore: Federica Malinverno

Intervista a Nathalie Castagné,  traduttrice e biografa di Goliarda Sapienza

Come è diventata una traduttrice dall’italiano?

 

Sono diventata traduttrice davvero per caso, non era una vocazione. Non ho studiato l’italiano a scuola, ma ho frequentato spesso l’Italia, prima con i miei genitori, che amavano il Paese, e poi per conto mio. È stato un processo di immersione totale. Inoltre, amavo la lingua italiana e l’opera lirica.

Inizialmente ho fatto la lettrice per le edizioni Denoël per i libri italiani e per quelli francesi. Poi, un giorno, mi è stata offerta la possibilità di tradurre un libro, e poi un altro, così ho fatto il grande passo.

 

 

Dato che ha iniziato come lettrice, le sarebbe piaciuto lavorare nell’editoria?

 

Non proprio: quello che facevo soprattutto era scrivere e questo era ciò che più contava per me. Scrivevo e studiavo canto. Tuttavia, ciò che si fa esclusivamente da soli domina sempre ciò che si fa, seppur con passione, usando il linguaggio di qualcun altro. E direi la stessa cosa della traduzione.

 

 

Cosa significa per lei tradurre l’opera completa di uno scrittore?

 

Non ho mai tradotto l’opera completa di uno scrittore, se non quella di Goliarda Sapienza, quindi posso solo parlare di questa particolare esperienza.

Prima di tutto, ci tenevo assolutamente a tradurre L’arte della gioia. L’ho fatto leggere a Viviane Hamy nel 2005. Il libro mi ha letteralmente conquistata: mi ha parlato così tanto che bisognava che lo traducessi. E poi, come dico sempre, ho sentito il dovere di riparare a un’ingiustizia. Voglio dire, qualcun altro avrebbe potuto farlo al posto mio, ma è toccato a me. Inoltre, Frédéric Martin, l’editore di Le Tripode, era assolutamente determinato a pubblicare tutti suoi libri, quindi non ero affatto sola nel decidere di tradurre le opere di questa autrice.

Per rispondere più precisamente alla sua domanda, quando si traduce l’intera opera di uno scrittore si ha l’impressione di capirla sempre più a fondo, ma non è stato così per me con L’Arte della gioia. Anche se il fatto di aver approfondito la mia conoscenza dell’opera di Goliarda attraverso la traduzione ha certamente cambiato qualcosa. Dettagli forse, ma i dettagli sono importanti.

Infine, secondo me, ogni libro di Goliarda ha un suo carattere e quindi ho dovuto rispettarlo. Credo che, accanto al percorso di conoscenza, conti anche il rispetto per la peculiarità del libro.

 

 

Secondo lei, l’esperienza di tradurre le opere di uno scrittore vivente è diversa da quella di uno scrittore scomparso?

 

Non ho quasi mai avuto esperienze di traduzione di autori viventi, ad eccezione di Paolo Barbaro o di Elisabetta Rasy, con la quale ho potuto discutere la traduzione dei suoi primi libri.

Per quanto riguarda Goliarda, invece, il suo secondo compagno, Angelo Pellegrino, è ancora vivo, quindi di tanto in tanto gli ho fatto delle domande.

In generale, a dire il vero, preferisco essere sola nel mio lavoro con un autore, anche se è certamente molto utile avere qualcuno a cui rivolgere delle domande se necessario.

 

 

Secondo lei, quando si traduce un testo che risale a un’epoca più o meno lontana dalla nostra, è necessario adattare il linguaggio? Inoltre, è davvero importante tradurre nuovamente di opere le cui traduzioni cominciano ad essere datate? In altre parole, una traduzione può invecchiare con il tempo?

 

Penso che, se un’opera dura nel tempo, anche una traduzione ha indubbiamente bisogno di essere rivisitata di tanto in tanto, ma non sempre sistematicamente. Ci sono traduzioni che resistono alla prova del tempo e non c’è motivo di ritradurle, tutt’al più si possono solo correggere alcuni errori puntuali

Personalmente, non ho mai tradotto un testo “antico”, del resto, il XX secolo non è certo…l’antichità. Un testo della metà del XX secolo è, secondo me, praticamente contemporaneo. Trovo molto più difficile tradurre un testo completamente contemporaneo. Inoltre, la frequentazione dell’opera lirica mi ha permesso di acquisire una buona conoscenza della lingua del passato, quindi non sono molto disorientata quando mi trovo di fronte a  forme desuete o arcaiche. Infine, credo che la cosa migliore sia tradurre in modo semplice, senza forzature, cercando di avvicinarsi il più possibile a ciò che l’autore ha scritto.

 

 

La pubblicazione di una nuova traduzione è legata alle logiche del mercato editoriale?

 

In parte sì, perché sono convinta che ci siano traduzioni che “funzionano” ancora molto bene e che ciononostante vengono rifatte. A volte, però, una nuova traduzione può nascere dal desiderio di un traduttore di cimentarsi con un testo che ama.

 

 

Com’è stato scrivere la biografia di Goliarda Sapienza? Anche se conosceva già molto del suo lavoro, c’è stato qualcosa che l’ha colta di sorpresa?

 

Non sapevo come procedere perché non avevo mai scritto una biografia prima di allora. Quando me lo hanno proposto, però, mi sono detta che, in fin dei conti, spettava a me farla in Francia visto che avevo tradotto tutti i suoi libri, e che ciò mi aveva permesso di acquisire una conoscenza di Goliarda che altri non avevano.

Non ho parlato con nessuno che l’abbia conosciuta. Avevo intenzione di farlo all’inizio, ma poi ho rinunciato perché, alla fine, la mia unica fonte per scrivere la biografia di Goliarda erano proprio i libri che avevo tradotto. Ovviamente, non era sufficiente. Così, ho letto alcune biografie in italiano.

Poi, facendo qualche ricerca, ho scoperto qualcosa che non avevo mai sospettato: nei suoi libri autobiografici, Goliarda cambia molte cose rispetto agli eventi reali della sua vita. Lo afferma esplicitamente e rivendica quella che lei chiama la “menzogna”, che in realtà non è propriamente una menzogna. All’inizio ero un po’ sconcertata, ma poi mi sono resa conto che questa scoperta è stata in realtà una forza motrice straordinaria per la biografia. Ho messo a confronto le cose che aveva detto nei suoi testi con gli elementi biografici che erano contraddizione con quanto contenuto nei suoi scritti. Anche se ci sono elementi biografici fattuali, perché bisogna comunque adattarsi alle regole del genere biografico, la mia biografia è stata in gran parte costruita su questo movimento.

 

 

È stato proprio questo andirivieni fra i dati forniti dall’opera e quelli della vita che le ha offerto la chiave per scrivere la biografia di Goliarda?

 

Ho passato molto tempo a ripetermi che non ce l’avrei fatta, a esitare, ad annaspare… Poi ho seguito questo andirivieni, mettendo i testi in dialogo con le mie conoscenze, e mi sono buttata….

Volevo anche scrivere un racconto, qualcosa che assomigliasse a un racconto, perché questo è il mio modo di scrivere. Ciò che mi interessava era proprio questa interazione tra ciò che era stato, ciò che avevo letto e ciò che, a volte, era stato trasformato da Goliarda. Volevo conoscere lei, non solo la sua vita?

 

 

A volte si dice che i traduttori sono gli “autori invisibili”, che, in una certa misura, cancellano la propria voce per lasciare trasparire quella degli autori da tradurre. È d’accordo?

 

Penso che tradurre equivalga a interpretare. Quindi, inevitabilmente e in una certa misura, viene fuori anche la nostra voce. Ma è vero che l’obiettivo è proprio quello di far emergere la voce dell’altro.

 

 

Questa dinamica di interpretazione condiziona anche il lavoro di un biografo? Nel senso che deve trovare il giusto equilibrio tra l’interpretazione dei fatti da parte del biografo e i fatti stessi?

 

Sì, perché mi sembra che, dal momento in cui si prende la parola, si scrive come si è e si aggiunge a volte anche qualcosa di personale. Sapevo benissimo che in ogni caso non avrei scritto senza me stessa, in altre parole non avrei scritto senza dare un’interpretazione che è, appunto, mia personale. Un’interpretazione che spero precisa e giusta, naturalmente. Tuttavia, non posso cancellarmi completamente, e non credo che sia possibile cancellarsi completamente nemmeno quando si traduce. Si opera come i pianisti: la musica che suonano per lo più non è la musica che hanno composto, ma la eseguono con quello che essi sono. Insomma, non ci si cancella mai del tutto.

In altre parole, direi che noi traduttori siamo un passaggio e che questo passaggio porta con sé qualcosa di noi. Penso che anche l’abbandono e la passività, in un certo senso, siano un modo di agire. È questo abbandono che dobbiamo cercare quando traduciamo e, perché no, anche quando scriviamo. Bisogna lasciarsi trasportare. Naturalmente, quando scriviamo, costruiamo, ma se manca questo elemento di movimento, di abbandono, credo che manchi qualcosa.

 

 

Scrivere una biografia l’ha posta di fronte a qualche difficoltà o a qualche insidia?

 

Ho cercato di mantenere un certo equilibrio durante il processo di scrittura. All’inizio è stato difficile, ma poi, una volta iniziato, credo sia stato facile, perché conoscevo molto bene Goliarda e avevo accumulato molte informazioni su di lei attraverso i suoi libri. Nella mia biografia, ho voluto rispettare l’ordine della cronologia, forse tranne nel capitolo su L’arte della gioia, dove propongo essenzialmente un’analisi, in cui inserisco però anche tutta una serie di elementi fattuali.

 

 

L’avventura editoriale di Goliarda Sapienza è stata straordinaria e, direi, davvero singolare. Che ricordo ne conserva e come interpreta il suo successo in Francia?

 

Ho bellissimi ricordi della pubblicazione de L’Arte della gioia, perché è avvenuta proprio grazie a me e alla mia entusiastica scheda di lettura, che ha spinto altre persone come Viviane Hamy e Frédéric Martin a decidere di pubblicarlo.

È stata un’avventura straordinaria, anche perché non era affatto scontata. Ci sono stati molti ostacoli, come il fatto che l’autrice non potesse più parlare del suo libro, il fatto che fosse molto lungo, il fatto che non avesse avuto successo in Italia, il fatto che fosse diverso da tutti gli altri, e così via. Eppure, è stato un successo straordinario.

Un successo che attribuisco allo spirito trasgressivo dei francesi. Credo che ciò che ha frenato l’interesse dei lettori italiani, cioè l’inizio estremamente audace del libro, abbia invece conquistato i lettori francesi, soprattutto le lettrici. A questo aggiungerei anche il fatto che in Francia c’è una grande tradizione romanzesca. E ancora, il fatto che abbiamo iniziato a pubblicare il suo lavoro con il romanzo e non con i suoi libri autobiografici.

Forse un libro identico proveniente dalla Francia sarebbe stato meno apprezzato di uno come questo, perché l’evocazione del mondo siciliano ha qualcosa di affascinante per un francese. In definitiva, quella della sua fortuna in Francia è una storia straordinaria, che ha capovolto il destino di scrittrice di Goliarda Sapienza.

Intervista a Nathalie Castagné,  traduttrice e biografa di Goliarda Sapienza
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