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14 Maggio 2020

Giacomo Leopardi in altre lingue

Autore:
Roberta Priore (Università di Bologna)

La voce di Giacomo Leopardi non è rimasta inascoltata oltre i confini nazionali, e lo dimostrano le diverse citazioni da parte di grandi intellettuali dell’Ottocento e del secolo scorso: Nietzsche, Melville, Beckett, Benjamin, per citarne alcuni.
Se si guarda al contesto francese, la prima traduzione dei Canti viene pubblicata presso la casa editrice parigina Baudry nel 1841 sulla base dell’edizione napoletana del 1835; il lavoro di Baudry era stato fortemente voluto dai salotti letterari, nei quali era assai frequente incontrare esuli italiani. D’altronde Leopardi stesso, spinto dall’amico e filologo svizzero De Sinner, aveva rivisto l’edizione Starita in previsione di una pubblicazione con l’editore parigino. Non passerà molto tempo prima che Charles Augustin Sainte-Beuve, nel 1844, per la “Revue des deux mondes”, pubblichi Portrait de Leopardi, integrando anche alcune traduzioni dei Canti: All’Italia, Sopra il monumento di Dante, l’Infinito, La sera del dì di festa, Alla luna e Amore e morte; come scrive lo stesso Antonio Prete, però, queste ultime sono soltanto «parafrasi della poesia leopardiana» piuttosto che traduzioni vere e proprie. Il saggio è stato poi ristampato in anni recenti dalla casa editrice Allia, che ha intrapreso la traduzione dell’opera omnia dell’autore, contribuendo ad alimentarne l’interesse oltralpe.
Oggi l’eredità leopardiana in Francia è stata raccolta dai ricercatori del parigino Centre Interdisciplinaire sur la Culture des Échanges (CIRCE) che, coordinati da Jean-Charles Vegliante, hanno lavorato alle traduzioni dei Canti e pubblicato nel 2014 le sole dieci Canzoni.
Il primato per la traduzione, però, va alla Germania: nel 1836, a Lipsia, si pubblicano i Canti basandosi sull’edizione Piatti del 1831. In Germania la circolazione del nome di Leopardi comincia ben presto, ed è legata anche in questo caso al nome di De Sinner, che si era fatto carico di diffondere gli scritti di Giacomo, soprattutto quelli filologici, in ambito tedesco: ne dà notizia lo stesso Leopardi, in una lettera alla sorella Paolina del 15 novembre 1830, con la quale commenta entusiasta che l’amico lo avrebbe voluto «trombettare per tutta l’Europa».
Ma è solo la traduzione di Robert Hamerling, di trent’anni successiva, che diventa il riferimento per i Canti in ambito germanofono: è a questa infatti che si rifarà lo stesso Nietzsche nelle sue citazioni. Di certo, però, anche il lavoro di Hamerling non raggiunge il grande pubblico: ancora nel 1937 a Venezia, durante le celebrazioni per il primo centenario dalla morte, il filologo e leopardista Karl Vossler ne lamenta pubblicamente la diffusione limitata a una cerchia di studiosi. L’auspicio del filosofo di Monaco non rimane inascoltato: in quegli anni Rilke lavora alle traduzioni de L’infinito e La sera del dì di festa; ne dà conto la rivista “Corona” nel 1938, proprio in riferimento all’evento veneziano.
Gli anniversari sono anche un’occasione e uno stimolo per nuovi lavori: la studiosa spagnola María de las Nieves Muñiz Muñiz, cogliendo l’opportunità offerta dal bicentenario dalla nascita del poeta, nel 1998, propone un accurato resoconto della bibliografia leopardiana in spagnolo prodotta in quello stesso anno, tra cui compare la traduzione dei Canti curata dalla stessa leopardista.
Meno vivace è il panorama se si guarda alle Operette morali: l’edizione francese del 1992, nata in seno al già accennato progetto della casa editrice Allia, a cura di Joel Gayraud, riempie un grande vuoto. Invece i lettori spagnoli soltanto dal 2015 possono godere dell’ottima traduzione delle Operette morali, premiata dal Ministero per i Beni e le attività culturali nel 2018, a cura dell’argentino Alejandro Patat, che ambisce a promuovere la lettura di un inedito Leopardi prosatore in tutta l’America latina.
È anche doveroso un breve cenno alle traduzioni del 2006 in giapponese dei Canti e delle Operette morali attorno alle quali si è sviluppata un nuovo fervore di studi sulla ricezione, grazie anche allo studioso giapponese Doi Hideyuki.
Per ultimo, si deve accennare alla ricezione internazionale di un testo complesso, e non solo per la sua mole, come lo Zibaldone di pensieri. Le prime traduzioni fioriscono all’alba del nuovo millennio, a distanza di più di un secolo dalla princeps italiana, pubblicata tra il 1898 e il 1900: grazie alla casa editrice Allia e alle cure del giovane scrittore e traduttore Bertrand Schefer, soltanto dal 2019 i lettori francesi possono conoscere, pubblicato con il medesimo titolo, un testo ancora poco esplorato fuori dall’Italia.
Quando si parla di traduzione dello Zibaldone leopardiano, però, non si può più prescindere dal meritevole lavoro di Franco D’Intino e Michael Caeser, terminato nel 2013, Zibaldone: The Notebooks of Leopardi, che rappresenta un punto di svolta nella storia della ricezione leopardiana e anche un ottimo termometro nella valutazione dell’attenzione europea (e statunitense) nei confronti dell’autore marchigiano.
Nel panorama anglofono una tale novità editoriale non ha tardato a diventare un caso letterario: le molte recensioni hanno sottolineato la grandezza di un libro di cui si sentiva la mancanza; John Gray, in un lungo e appassionato articolo apparso all’indomani della pubblicazione, nel settembre del 2013, sul “New Statesman”, definisce questa traduzione integrale un «major event».
Quella del 2013 in realtà non è solo una traduzione, ma una vera e propria nuova edizione, con note, indici, e apparati critici e filologici, un progetto quasi decennale sviluppato all’interno del Leopardi Center di Birmingham e che ha visto a lavoro un team di sette traduttori. Negli Stati Uniti, in concomitanza con un convegno della Pennsylvania State University su Reading and Translating Leopardi, l’edizione è apparsa per i tipi della Farrar Straus and Giroux, il cui presidente è Jonathan Galassi. Ed è proprio lo stesso Galassi, e qui si chiude un cerchio, che nel 2012 firma la traduzione dei Canti di Leopardi apparsa nella classifica dei migliori cento libri stilata dal New York Times.

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