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21 Giugno 2021

Intervista a Jean-Paul Manganaro, italianista e traduttore

Autore:
Paolo Grossi

Jean-Paul Manganaro è professore emerito di letteratura italiana contemporanea all’Università di Lille III. Saggista, ha pubblicato presso le Éditions Dramaturgie il volume Carmelo Bene (1977) e Douze mois à Naples, Rêves d’un masque (1983). Per Seuil, ha pubblicato Le Baroque et l’Ingénieur. Essai sur l’écriture de C.E. Gadda (1994) e Italo Calvino, romancier et conteur (2000). Ha tradotto più di 230 romanzi e testi italiani contemporanei. Presso P.O.L ha curato l’edizione delle Œuvres complètes di Carmelo Bene e, per questo stesso editore, ha pubblicato François Tanguy et le Radeau (2008), Federico Fellini. Romance (2009), Confusions de genres (2011), Cul in air (2014) e Liz T. Autobiographie (2015).

 La Francia è uno dei paesi in cui i libri italiani sono più tradotti. Qual è il suo giudizio, in generale, sulla situazione in Francia del libro italiano tradotto?

 Un giudizio relativamente positivo. Se si considerano da vicino gli anni della seconda metà del XX secolo, dopo la grande apertura del 1968, solo dall’inizio degli anni Ottanta si registra una vera, larga presenza di titoli italiani, dovuta in parte all’arrivo sulla scena di molti « piccoli editori »  che si aprono assai più dei «grandi» alle novità d’oltralpe, in parte alla comparsa in Italia di nuovi autori capaci di oltrepassare i limiti letterari precedenti. Penso in particolare a Ferdinando, autore di due o tre veri capolavori, penso a Antonio Tabucchi, a Daniele Del Giudice, a Claudio Magris, per limitarmi ad essi, che riescono a aprire strade nuove nella sperimentazione e nella ricerca letteraria. Leonardo Sciascia non appartiene a questa schiera, e neppure Italo Calvino e Pasolini ; quanto a Vincenzo Consolo, nel solco di Sciascia, sarà quasi interamente tradotto. Poche le scritture femminili di rilievo: Elsa Morante s’impone fra tutte, ma è già conosciuta e bisognerà aspettare due decenni per veder apparire delle figure di punta. Ho sempre lamentato l’assenza di traduzioni, mi sembra, di testi di Francesco De Sanctis, che non è neppure più studiato all’università: bisognerebbe fare lo sforzo di tradurre almeno i suoi lavori su Dante, Petrarca e Leopardi – nonostante appartenga al XIX secolo. Quanto al XX, penso che Alberto Arbasino sia una clamorosa assenza : occorrerebbe avere il coraggio editoriale di far conoscere l’ultima versione di Fratelli d’Italia, è un libro importante che meglio d’ogni altro ha lasciato una traccia significativa su tutto un ambito della cultura italiana. Un’altra constatazione si impone: l’esperienza letteraria si è parallelamente arricchita di nuove prospettive di scrittura che prendono corpo attraverso il cinema le arti visive, la musica; sono saperi specifici e ben precisi che innervano di sé tutto un panorama di cultura e di civiltà.

La letteratura italiana del secolo scorso, il Novecento, trova una sua adeguata presenza negli scaffali delle librerie francesi?

Globalmente, direi di sì. Certo, con periodi secca e piene improvvise: casi letterari come quello del Gattopardo o del Nome della rosa non sono programmabili, capitano; del resto, anche queste due opere non sono essere messe sullo stesso piano, una è un capolavoro di umanesimo, l’altra è un colpo di dadi che sfida la sorte. D’altra parte, non bisogna dimenticare che la specificità italiana di questo periodo è piuttosto quella del grandissimo cinema, da Rossellini a Pasolini (1945-1990, grosso modo). Certamente un gusto fin troppo marcato per i seguiti della sperimentazione neorealista ha tenuto l’Italia un po’ ai margini delle trasformazioni e delle correnti letterarie che si venivano affermando altrove. D’altronde, non si può non tener conto dell’aspirazione universalista di quest’epoca e delle conseguenti aperture verso nuovi mondi : le letterature dell’Africa, della Cina, del Giappone … e la costante americana. L’Italià ha preferito piuttosto aprirsi ad un genere specifico: il romanzo poliziesco italiano ha invaso la scena letteraria italiana e quella francese  con esiti modesti, spesso mediocri. E ciò ha permesso, col tempo, un progressivo slittamento della letteratura verso forme dallo statuto incerto in cui l’elemento congiunturale prende uno spazio troppo grande: la « forma » stessa dell’autore ne è stata modificata, è il giornalismo che aspira oggi a occupare il primo posto nella creazione letteraria, e ciò è manifesto tanto in Italia quanto in Francia. Direi per concludere che manca in Francia un vero panorama di novellieri. Quello della novella è un genere in cui gli Italiani eccellono, quasi in tutte le epoche, se c’è qualcosa che manca in Francia è proprio la « novellistica » italiana.

Quali sono gli autori italiani sui quali sta lavorando attualmente, come traduttore o come saggista ?

Ho cominciato a tradurre nel 1970. Mi limiterò qui agli ultimi quattro-cinque anni, che sono stati particolarmente ricchi di impegni. Dopo la nuova traduzione del Gattopardo, ho ritradotto quello che continuo a chiamare L’affreux pastis de la rue des Merles [Quer pasticciaccio brutto de via Merulana] che non ha avuto, mi sembra, la risonanza pubblica che avrebbe meritato. Questo è probabilmente dovuto a un cambiamento quasi radicale del pubblico, che ormai legge solo per divertirsi : l’interesse per la meditazione, per riflessione si è al momento molto sfumato e dislocato: tutti credono di volere e di poter fare della « filosofia »… Ho ritradotto due romanzi di Pasolini, I ragazzi e Una vita violenta, e anche tre sue opere teatrali, molto teatro, in particolare Spiro Scimone e Lina Prosa, ma anche Goldoni e Pirandello. Ho potuto completare la traduzione di Roberto Calasso. E il capolavoro di Dolores Prato, Giù la piazza non c’è nessuno, finalmente pubblicato dopo più di vent’anni di tentativi di edizione. Ritraduco attualmente Un po’ di febbre di Sandro Penna.

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