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4 Aprile 2022

Intervista a Katherine Gregor, autrice e traduttrice

Autore:
Stefania Ricciardi (Università di Lovanio)

Katherine Gregor è la voce inglese di scrittori italiani come Luigi Pirandello e Carlo Goldoni tra i classici e Francesca Melandri, Stefania Auci e Alberto Angela tra i contemporanei. È nata a Roma, dove ha vissuto a intermittenza per dodici anni, ha trascorso sei anni in Francia e vive in Inghilterra dal 1988, attualmente a Norwich. Traduce dall’italiano e dal francese. Scrive anche opere teatrali e di narrativa, tiene il blog Scribe Doll (https://scribedoll.com) e ha ideato e curato per due anni la rubrica mensile The Italianist (http://www.eurolitnetwork.com/tag/katherine-gregor/)

 

Fin dall’infanzia, intrattieni rapporti familiari con lingue e culture diverse – penso anche a tua nonna armena. Come si colloca l’italiano in questo contesto così ricco e variegato?

L’italiano è stata la prima lingua che ho parlato con il mondo esterno, visto che abitavamo a Roma e che in famiglia si parlava prevalentemente russo. Purtroppo è l’unica lingua che ho imparato da autodidatta, dunque tutto quello che so l’ho assorbito da me vivendo in Italia, leggendo e frequentando persone italiane che considero di famiglia.  Recentemente ho comprato un manuale di grammatica: è venuto il momento di studiare le basi di questa lingua che amo molto. 

Aggiungerei che ogni lingua è associata a un’emozione o a uno stato d’animo diverso. Per me l’italiano è la lingua che mi fa sentire accettata, in una rete di sostegno affettivo. 

 

Come nasce la passione per la letteratura italiana e per la traduzione?

Nasce da una lupa zoppa e da Dacia Maraini… 

Confesso con vergogna che dopo aver studiato la letteratura italiana per l’esame di maturità non avevo più aperto un libro italiano. Poi, dieci anni fa, durante un viaggio in Abruzzo, sono andata a visitare un rifugio per animali selvatici che per motivi diversi non potevano essere lasciati allo stato brado. Mi sono subito innamorata di una lupetta zoppa. Aveva quegli occhi giallo dorato che emanavano una sorta di cognizione arcana, come se sapesse cose che non potevo neanche immaginarmi. Il custode mi disse che l’avevano chiamata Dacia perché era stata trovata da Dacia Maraini. Il pomeriggio stesso, andai alla libreria del paese e comprai tre libri di Dacia Maraini. Volevo leggere la donna che aveva salvato la bellissima lupa, che forse come me era stata incantata da quegli occhi magici. Quella sera, in albergo, lessi fino a tarda notte. Mi piacevano molto lo stile di scrittura stratificato, ricco di trame e colori, ma anche i pensieri espressi dall’autrice. Da lì ho cominciato a leggere altri autori italiani contemporanei. 

La mia passione per la traduzione è legata al desiderio di condividere i libri che amo con i lettori anglofoni, e – come tanti altri colleghi traduttori – nel mio piccolissimo faccio quello che posso per incoraggiare ad ampliare la proporzione – vergognosamente minima – di libri italiani tradotti in inglese.

 

Questa passione traspare anche dal tuo blog e dalla rubrica che hai curato, The Italianist. Come la alimenti e quali fonti prediligi per scoprire nuovi autori?

Grazie, sono contenta che questa mia passione traspaia. Mi tengo informata su nuove pubblicazioni seguendo supplementi culturali come “Robinson”, “La Lettura”, le selezioni dei premi letterari, ma la mia conoscenza della letteratura italiana la devo in gran parte ad agenti e rights managers italiani (alcuni sono diventati cari amici) che mi tengono informata mandandomi sia copie saggio e schede da tradurre, sia libri che pensano mi possano piacere.  Anche altri amici italiani mi segnalano vari titoli. E poi, da quando ho scoperto newitalianbooks, do sempre volentieri un’occhiata al sito.

 

Un traduttore è un lettore particolarmente attento al ritmo, al respiro della frase, all’intreccio narrativo. Quali fattori ti colpiscono maggiormente, innescano in te il desiderio di tradurre il libro che stai leggendo?

Per me è proprio una reazione istintiva che o mi attraversa il cervello così velocemente che non me ne rendo conto oppure non mi tocca per niente. È un libro che percepisco a livello fisico ed emotivo, e appena inizio a leggerlo sento subito nelle mie orecchie l’eco delle frasi in inglese. Sul piano più razionale, per così dire, sono attratta dalla prosa piuttosto asciutta, scritta da un autore che confida nell’intelligenza e soprattutto nell’immaginazione del lettore, un autore che non sente il bisogno di spiegare all’infinito, nei minimi dettagli, ma che lascia al lettore una certa libertà, anzi, gli permette di utilizzare la materia grigia. 

Per me la traduzione è un po’ come una danza: per voler tradurre un libro, devo sentirmi in buone mani, fidarmi del mio compagno di ballo, essere certa che saprà guidarmi con destrezza.  

 

L’area anglosassone è notoriamente poco orientata verso la traduzione di autori stranieri.  Come si colloca il libro italiano in questo contesto? C’è un genere che ha più chance di fare breccia? 

Purtroppo il libro italiano rappresenta una piccola quota della percentuale fin troppo esigua di libri tradotti in inglese. Il problema è che pochissimi editori conoscono l’italiano e quindi non possono farsi un’idea personale di un’opera, ma devono ricorrere ad altri per le letture e i resoconti. Inoltre, c’è un po’ l’impressione che sia più difficile ottenere fondi e borse dall’Italia che da alcuni altri paesi. I bandi sono scritti in modo un po’ complicato. Per adesso, direi che i libri italiani tradotti in inglese sono perlopiù noir e titoli selezionati per i grandi premi come lo Strega, anche se rientrare nella “cinquina” non è affatto una garanzia di traduzione. Però ultimamente osservo che l’editoria anglofona è attratta da libri molto interessanti ma diversi dai soliti generi, il che è molto incoraggiante.

 

Hai tradotto autori classici e contemporanei. Quali di questi ha comportato maggiori difficoltà?

Senza dubbio i libri con espressioni in dialetto.  Anche con un dizionario specifico, molte volte non si riesce a trovare una traduzione e quando la si trova spesso è difficile risalire al corrispettivo inglese. A quel punto, chiedo aiuto a tutti gli amici italiani di quella regione, oltre che all’autore stesso, ma il più delle volte bisogna fidarsi dell’istinto.  Però devo dire che tradurre espressioni dialettali dà anche moltissima soddisfazione. 

 

Per concludere, c’è un libro italiano (o più libri) che ti piacerebbe tradurre, che stai pensando di proporre a un editore?

Bene, mi limito a citare i primi tre libri che mi vengono in mente, altrimenti la lista sarà molto lunga.

  1. Il gioco di Santa Oca di Laura Pariani. Un libro unico, un vero gioiello, un romanzo scritto come una chanson de geste ambientato nella Lombardia del Seicento, con verità rilevanti rispetto al presente.
  2. Tutte le donne di Caterina Bonvicini. Un romanzo corale molto fine, un commento sociale affilato, scritto con uno sguardo acuto ma anche tanta compassione.
  3. Fiore di roccia di Ilaria Tuti. Un bellissimo romanzo storico sulle “portatrici carniche”.

Naturalmente, sarei felicissima di tradurre un romanzo di Dacia Maraini. Inoltre, visto che amo molto il teatro, mi piacerebbe tanto tradurre opere teatrali.

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