Da Berlino: intervista
a Susanne Schüssler(casa editrice Wagenbach)
Autore: Maria Carolina Foi, Università di Trieste
Susanne Schüssler ha iniziato a lavorare nel 1991 per la casa editrice Klaus Wagenbach di Berlino. Dal 2002 ne è anche direttrice editoriale e dal 2015 socia unica. Ha studiato germanistica, scienze della comunicazione e diritto editoriale alla Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera.
Nel 2024 la casa editrice festeggia sessant’anni. Quando nasce l’amore di Klaus Wagenbach, il fondatore, per l’Italia?
Molto presto e per due motivi. Innanzitutto, l’Italia, come la Germania, era un Paese segnato dal fascismo, ma aveva un modo diverso di affrontare quel passato. Un secondo motivo di attrazione era la storia dell’arte. Da studente, Klaus aveva fatto un viaggio in bicicletta da Francoforte a Paestum, e l’italiano lo aveva cominciato a imparare per strada. Era membro del Gruppo 47 per il quale agiva da delegato e quindi avvicinò il Gruppo 63, conobbe molti autori e anche l’editore Giangiacomo Feltrinelli e questo rafforzò moltissimo il suo rapporto con l’Italia.
La casa editrice è ritenuta il miglior indirizzo della letteratura italiana in Germania. Che cosa tiene insieme scrittori distanti come Manganelli e Pasolini con studiosi quali Settis e Ginzburg?
Rispecchiano tutti i diversi interessi di Klaus: la storia dell’arte e della cultura, ma anche la letteratura sperimentale, d’avanguardia, da un lato, dall’altro i libri che hanno una forte valenza politica, da Pasolini alla La scuola di Barbiana di don Milani. Questo interesse “politico” è al tempo stesso un problema e un punto di forza della casa editrice.
In che senso?
La casa editrice non è mai stata né solo politica, né solo letteraria, ma sempre l’una e l’altra cosa insieme. Era criticata da sinistra come casa editrice borghese, mentre altri la vedevano come una pericolosa casa editrice comunista, un aspetto, questo, che riguardava anche l’interesse per l’Italia. Questa ottica doppia garantiva tuttavia una grande apertura culturale e intellettuale. Non a caso abbiamo pubblicato tanti autori del Gruppo ’63: Gianni Celati, per me uno dei grandi, e il suo gruppo con Cavazzoni e i più giovani della rivista “Il semplice”, e anche Luigi Malerba. Nell’immediato dopoguerra, diciamo la “preistoria”, fino agli anni ’60 e ’70, c’era stata una prima ricezione della letteratura italiana contemporanea, penso a Classen e Piper Verlag, che avevano tradotto molti autori – da Bassani a Morante, a Tomasi di Lampedusa. Poi calò una specie di silenzio sull’Italia. Il primo grande successo di Wagenbach nel ’79 è stato Pasolini con gli Scritti corsari – un successo fenomenale. Sette editori tedeschi volevano tradurli, ma erano testi anche giornalistici, non semplici, che in un altro paese presupponevano conoscenze preliminari. Alla fine, la spuntò Klaus che ottenne di poter scegliere i testi, commentarli e accorciarli per una edizione adatta al mercato tedesco. Il libro apparve così in un momento fortunato, quando in Germania era ormai evidente che esisteva la sinistra alternativa dei Verdi. Gli Scritti corsari, che parlavano del consumismo e della scomparsa delle lucciole, toccavano temi cruciali dei Verdi. Da allora inizia una nuova fase della ricezione della letteratura italiana. Tre anni più tardi arriva Il nome della rosa di Eco e in Germania si ricomincia a guardare all’Italia. Uno sviluppo interessante, all’epoca della Toskana-Fraktion, quando tutti i tedeschi volevano assolutamente andare in Italia.
Qual è l’Italia proposta da Wagenbach?
La casa editrice ha grandi meriti perché – e continuiamo a farlo – ha pubblicato una serie di libri che in Italia non esistono. Come si presenta un Paese a chi lo visita senza saperne nulla? Abbiamo pubblicato nella collana SALTO degli inviti letterari dedicati alle più diverse città italiane, poi dei libretti che rispondono a domande come: “Perché le piazze principali di ogni città italiana sono intitolate a Garibaldi?” o si interrogano sul significato della gestualità. Si tratta sempre di un approccio che intreccia letteratura, politica, società e cultura quotidiana. Per fare un esempio diverso: quando fu eletto Berlusconi, ho pubblicato su di lui un tascabile con testi di vari scrittori. Da Andrea Camilleri a Paolo Flores d’Arcais, tutti cercavano di spiegare cosa stesse accadendo in Italia. E così sono nati molti libri che in Italia non esistevano.
Dal 2002 Lei è diventata direttrice editoriale. Quanto è cambiato da allora il profilo di Wagenbach?
Volevo capire che cosa facessero le giovani generazioni e quanto spazio avessero le donne. E credo che siamo riusciti a farlo. Cito tre esempi: Michela Murgia, Francesca Melandri e Giulia Caminito, scrittrici diverse con qualcosa in comune. Sono molto ‘letterarie’ e insieme molto ‘politiche’. Per un certo tempo avevo avuto l’impressione che il paesaggio letterario italiano stesse diventando monotono: tanti giovani autori, soprattutto uomini, guardavano alla letteratura angloamericana. Poi è arrivata Michela Murgia con Accabadora che dell’Italia coglieva un aspetto essenziale, il contrasto tra la modernità e una Italia arcaica che ancora esisteva, e si interrogava se e come le due realtà si potessero combinare. Un libro emozionante, che anche in Germania ha avuto un enorme successo. Una grande scrittrice, e decisamente politica fino alla sua morte prematura.
E Francesca Melandri?
Melandri analizza la rimozione dell’intero passato coloniale e fascista nelle nostre società, naturalmente soprattutto in Italia. Sangue giusto intreccia il problema attuale dei rifugiati con la storia coloniale e mostra come ciò che non abbiamo rielaborato torni a colpire – e lo fa in modo davvero grandioso. Anche in Germania, dopo che è stata data accoglienza alla grande ondata di rifugiati siriani, ci si è chiesti: “Come possiamo gestire tutto questo?”. Ci si è anche resi conto di quanto stava accadendo nel Mediterraneo, con le tragedie dei barconi di rifugiati e i morti annegati in mare. In quel momento è apparso il romanzo di Melandri, e a un tratto l’intero passato coloniale è stato colto e spiegato, in un contesto concreto. Per questo Sangue giusto è stato per settimane nella classifica dei bestseller con 100.000 copie vendute nel giro di sei mesi.
Giulia Caminito?
Caminito è, a sua volta, una scrittrice diversa. Appartiene a una generazione più giovane, socializzata in un altro momento storico, che è diventata adulta durante i governi di Berlusconi. La mia generazione è cresciuta con la speranza che tutto sarebbe diventato migliore, che la democrazia avrebbe avuto la meglio, che fenomeni come fascismo o nazionalsocialismo non sarebbero mai più ricomparsi… I più giovani non hanno vissuto questa esperienza, non hanno conosciuto questa speranza, hanno semplicemente sperimentato come la società si disgrega. Caminito lo racconta benissimo in L’acqua del lago non è più dolce : una generazione disillusa o che è sempre stata costretta a non illudersi.
Quanto contano per Wagenbach i classici?
Quando si ama un Paese, non si può non far conoscere la sua letteratura, ma anche la politica, l’arte. A noi non interessa tanto il trentasettesimo romanzo poliziesco, che venga da Palermo o da Venezia o da qualche altro luogo, non ci interessa il genere. Da una parte, inseguiamo nuovi esperimenti, nuove forme narrative. Dall’altra, teniamo alla presenza dei classici, con una vera e propria biblioteca italiana del XX secolo in edizione tascabile: da Giorgio Bassani a Natalia Ginzburg, una delle mie autrici preferite, a Alberto Moravia, tutto Pasolini, e poi Beppe Fenoglio, Carlo Emilio Gadda e così via. Talvolta dobbiamo pensare a nuove traduzioni: Anna Leube ha ritradotto I Malavoglia di Verga e abbiamo pubblicato recentemente una nuova versione de La Storia di Elsa Morante.
Una casa editrice indipendente per “wildes Leses”, letture selvagge: è il motto di Wagenbach. Cosa significa?
In passato esisteva un canone, i libri che si dovevano leggere se si voleva appartenere alla classe media istruita. Ma a un certo punto ecco che non c’è più un canone e neppure un contro-canone. Occorre cercarsi da soli cosa leggere. Anche la critica letteraria sui giornali non orienta più come un tempo, nemmeno la scuola. Non ci sono più riferimenti, perciò cerchiamo di chi legge in modo autonomo, selvaggio.
La sua ultima lettura selvaggia?
Questa mattina ho letto un grande testo sulle lucciole che mi porta proprio là dove mi piace stare. Mi riconduce in Italia, ma anche nell’antichità e in tutta Europa, alla questione ecologica – e qui sta il bello! –, mi porta persino in Giappone. Ho scoperto solo oggi che in Giappone le lucciole hanno una importanza enorme, anche più che in Europa e ne faremo un libro: le lucciole, fino a Pasolini e al Giappone.