Verso Francoforte 2024
Intervista alla scrittrice Giulia Caminito
Autore: Maddalena Fingerle
Giulia Caminito (1988) vive e lavora a Roma. Dopo la laurea in filosofia politica esordisce nel 2016 con La grande A, pubblicato da Giunti, che vince il Premio Bagutta Opera Prima, il Premio Berto e il Premio Brancati Giovani. Nel 2018 l’autrice torna con Un giorno verrà, pubblicato da Bompiani, che vince il Premio Fiesole Under 40. Nel 2021 esce L’acqua del lago non è mai dolce che vince il Premio Campiello e arriva finalista al Premio Strega. I libri di Caminito sono tradotti in oltre venti paesi. In tedesco Ein Tag wird kommen (Un giorno verrà) e Das Wasser des Sees ist niemals süß (L’acqua del lago non è mai dolce) escono rispettivamente nel 2020 e nel 2022 per la casa editrice Wagenbach. In area germanofona i due romanzi tradotti da Barbara Kleiner riscuotono un enorme successo di pubblico e critica, tanto che sulla Frankfurter Allgemeiner Zeitung Giulia Caminito viene definita da Karen Krüger la scrittrice italiana più famosa e di maggior successo di tutta la sua generazione.
Quando e come hai iniziato a scrivere?
Ho iniziato davvero e in maniera intensa nel periodo dell’università, intorno ai venti anni. In quel periodo mi sono dedicata alla filosofia con grande impegno, i testi accademici erano complessi e gli esami moltissimi. Vivevo in provincia dove in inverno non c’era quasi nulla da fare e non ho mai amato le uscite fino a notte fonda, ho sempre avuto uno spirito nerd: la lettura, i videogiochi, la grafica fai da te. Poi ho scoperto che scrivere mi piaceva, che mi immergevo nella scrittura e riuscivo a trascorrere ore e ore a portare avanti le mie storie. Da lì non ho più smesso, era un diversivo rispetto alla difficoltà dei miei studi, ai grandi temi e ai grandi pensieri con cui mi stavo confrontando e con cui facevo un corpo a corpo sui testi. Scrivendo potevo smarcarmi dal resto.
Com’è la tua giornata tipo (se c’è)?
Dipende, di solito la mattina mi dedico a rispondere alle e-mail e a fare telefonate e riunioni di lavoro, il pomeriggio scrivo, leggo o preparo materiali per interventi e lezioni, la sera spesso tengo dei corsi di scrittura o di editoria. Se non sono a casa ma in giro per convegni o festival, promozioni dei libri, di solito la mattina parto in treno o in aereo, arrivo, mi sistemo e ripasso gli appunti che ho preso per gli incontri, poi vado alla presentazione e dopo faccio alcune interviste, mangio con gli organizzatori e rientro parecchio stanca nel mio hotel. Ho ovviamente anche una vita privata, però diciamo che non ho mai giorni completamente liberi, anche dopo essere uscita la sera quando rientro lavoro fino a notte fonda se ho una consegna, un editing, una revisione, una lettura o un articolo da mandare a breve.
So che è una domanda banale, ma so anche che la risposta non lo sarà: perché scrivi?
Perché sono stata una bambina cantastorie, me le raccontavo a mente prima di dormire o sottovoce giocando con pupazzi e bambole. Senza inventare storie non so proprio stare e scriverle appaga questa mia natura, questo desiderio costante che ho di poter mettere insieme personaggi, trame, ambienti e dialoghi. Di scegliere il destino d’ogni parola, di ogni momento disperato o gioioso, di stabilire la parabola ascendente o discendente della vita, gli scossoni, le perdite, gli attimi di rivincita. Non c’è altro modo possibile per farlo, se non la scrittura.
Leggi anche per piacere?
Sì, cerco di ritagliarmi il tempo anche per la lettura di piacere, ma non è semplice. Ci sono mesi in cui devo leggere molto per lavoro e non mi è possibile aggiungere anche delle mie letture a scelta, a volte è frustrante, mi sembra sempre di essere indietro rispetto a tutti i libri che vorrei leggere.
Quali sono le autrici o gli autori che ti hanno formato?
Ce ne sono moltissimi e moltissime. Durante il periodo universitario l’autore che più mi ha appassionata è stato Montaigne, ma anche Damasio e Braidotti, le lezioni di Kojeve su Hegel, sono state tra le letture e gli studi che mi hanno formata di più. Poi c’è stata la fase delle prime letture narrative e ho conosciuto la scrittura di Dave Eggers, mi ha insegnato molto. Da quel momento ho letto tantissima narrativa fino ad arrivare a scoprire il Novecento italiano e capire che le scrittrici da poter leggere erano numerose e sono arrivate le letture che più mi hanno cambiata. Capire che c’erano anche le donne a raccontare certi aspetti della società, so che pare banale, ma io non lo davo per scontato. La vita e la scrittura di due autrici è stata particolarmente importante per me e le cito spesso anche perché sono poco note: Laudomia Bonanni e Livia De Stefani.
Non è, purtroppo, affatto banale.
Ti ricordi il momento in cui la tua strada si è incrociata con l’editoria tedesca?
È successo con il mio romanzo Un giorno verrà che è stato acquisito dalla casa editrice Wagenbach di Berlino. Mi sono subito emozionata all’idea di far parte del catalogo di un editore così raffinato, storicamente valido e pieno di autori e autrici italiani importanti. Sono stata a Berlino poco dopo per la prima volta e sono andata a trovarli, ho conosciuto di persona la direttrice, il mio editor, è stata una esperienza forte e ricchissima.
Che rapporto hai con la traduttrice, la bravissima Barbara Kleiner? Vi siete incontrate, avete parlato del testo?
Barbara è venuta in Italia un paio di anni fa per studiare l’ambientazione di L’acqua del lago non è mai dolce. Abbiamo potuto fare un giro per Anguillara, il paese sul lago dove si svolge il romanzo, mangiare del pesce e fare qualche chiacchiera. Abbiamo uno scambio “epistolare” piuttosto nutrito. Mi fa sempre molte domande sul testo e tante volte è capitato che lei abbia trovato delle incongruenze o dei difetti nella versione italiana che abbiamo emendato nella traduzione tedesca.
Che impressione hai avuto del mondo editoriale tedesco?
Ho avuto l’impressione che sia molto attento, curato e che ci sia riguardo per tanti aspetti sociali e politici della scrittura, che il lavoro della scrittrice sia preso molto sul serio e sia rispettato nei vari momenti della produzione artistica, dalla scrittura fino alla promozione e l’incontro col pubblico.
Secondo te pubblico e critica di lingua tedesca ti leggono diversamente da quelli di lingua italiana? Se sì, come e perché?
Mi sembra di sì che ci sia una attenzione diversa, noto spesso curiosità e domande differenti, anche nelle critiche mi è parso si muovessero obiezioni che in Italia non erano emerse. In ogni paese in cui vado affiorano considerazioni differenti sullo stesso libro. All’estero si aspettano da scrittori e scrittrici che espongano le loro idee politiche, che parlino dell’attualità e del proprio paese anche durante gli incontri pubblici. Mi sembra che questo accada meno in Italia.
Hai mai sentito una lettura in tedesco tratta da un tuo libro? Che effetto ti ha fatto?
Sì, è successo varie volte, mi ha aiutata a imparare alcune parole in tedesco. Conoscendo la versione italiana riconoscevo i nomi dei personaggi, le scene e sapevo orientarmi. A un incontro senza rendermene conto ho iniziato ad annuire perché stavo cogliendo alcuni punti e hanno pensato io fossi in grado di rispondere in tedesco, ma purtroppo non ancora. Ascoltarsi in un’altra lingua è sempre spiazzante, credo. A me pare incredibile ogni volta che accade.