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17 Settembre 2020

Pinocchio in altre lingue

Autore:
Mario Casari, Università “La Sapienza”, Roma

Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi (Firenze, 1826-1890) è senza dubbio il libro più tradotto della letteratura mondiale. Probabilmente il numero complessivo delle sue traduzioni supera anche quello dei grandi libri sacri, in virtù dell’altissimo numero di traduzioni integrali diverse in praticamente tutte le lingue del mondo, unito alla versione in innumerevoli dialetti, non solo italiani. Di Pinocchio esistono decine e decine di traduzioni integrali differenti in lingua inglese, francese, tedesca, spagnola, per citare le più diffuse lingue europee; ma anche oltre trenta in cinese, oltre venti in russo, almeno quindici in persiano – per non fare che alcuni esempi di lingue meno ovvie.
Pubblicato a puntate sul “Giornale per i bambini” tra il luglio 1881 e il gennaio 1883, e riedito in volume già nel febbraio di quello stesso anno (Firenze, presso Felice Paggi), Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino (questo il titolo originale completo) incontrò rapidamente un successo enorme: cinque edizioni con Collodi ancora in vita, di cui l’ultima con il nuovo editore Bemporad (1890), e poi una miriade di riedizioni nei decenni a seguire. Al successo italiano si è accompagnato molto presto anche il successo internazionale, malgrado le difficoltà di rendere adeguatamente il registro guizzante e musicale della lingua toscana di Collodi: la prima traduzione in lingua straniera fu quella inglese di Mary Alice Murray (London, T. Fisher Unwin, 1892), riedita e riutilizzata moltissime volte. Emerso in Italia quale frutto eccelso di maturazione della cosiddetta letteratura per l’infanzia, Pinocchio è stato spesso introdotto nei suoi nuovi contesti linguistici e culturali in corrispondenza di fasi analogamente rilevanti dello sviluppo di quest’ambito della produzione libraria, a stimolare o rinsaldare nuovi orizzonti pedagogici e letterari. Allo stesso tempo, in Italia e altrove, l’inarrestabile diffusione dell’opera l’ha fatta progressivamente uscire dal recinto ristretto del genere esclusivamente infantile, per trovare apprezzamento universale come grande opera della letteratura tout court. Talora le versioni in lingue straniere di Pinocchio, nelle quali si sono spesso cimentati fior di scrittori e intellettuali di tutto il mondo, sono arrivate a essere vere e proprie pietre miliari della letteratura d’arrivo.

Sia pur sommariamente e con inevitabili semplificazioni, è possibile scandire una periodizzazione del viaggio di Pinocchio intorno al mondo in quattro fasi. Il primo periodo, che va dalla pubblicazione in volume fino alla Prima Guerra Mondiale, vede Pinocchio traslocare in quasi tutti i paesi geograficamente o culturalmente contigui all’Italia: verso queste mete il trasloco di Pinocchio è un fatto naturale, favorito da un comune stato di maturazione della letteratura infantile e una ormai solida tradizione culturale e tecnica della stampa: in Gran Bretagna nella menzionata versione del 1892, negli Stati Uniti nel 1901 (traduzione di Walter S. Cramp, Boston, Ginn & Co.), in Francia nel 1902 (traduzione di Emilio Treves, in realtà stampata in Svizzera, a Tramelan, per L.-A. Voumard, e distribuita in Francia dalla Librairie Fischbacher, Paris), in Svezia nel 1904 (in realtà stampata in Finlandia, a Helsinki, per la Helios, nella versione di Aline Pipping), in Germania nel 1905 (a dire il vero un rifacimento, operato da Otto Julius Bierbaum; la prima traduzione vera e propria, di A. Grumann per la Herder, è del 1913), in Spagna nel 1912 (nella versione di Rafael Calleja, per la Saturnino Calleja di Madrid: anche questa in parte un adattamento), e così via in altri paesi vicini.

Anche il caso della Russia sarebbe cronologicamente da porre in questo primo periodo (con la traduzione di Kamill Danini – Camillo Dagnini – per M. O. Vol‘f a S. Pietroburgo, 1908, però prodotta già qualche anno prima), ma per certi versi rappresenta una prima traslazione eccentrica, accostabile ai casi di Giappone (1925, la versione integrale di Satô Haruo, seguente già almeno un paio di riduzioni) e Cina (opera di Xu Diaofu, nel 1927 a puntate sulla rivista Xiaoshuo yuebao, nel 1928 in volume a Shanghai, per la Kaiming shudian), e forse anche una versione in bengali in rivista in data incerta, in una seconda fase che include dunque i primi esempi di assorbimento di Pinocchio in terreni meno scontati e più remoti. Si tratta di fenomeni legati a condizioni particolari – l’iniziativa del figlio di una famiglia italiana immigrata in Russia, la mediazione di versioni inglesi nell’Asia Orientale – che si incastonano in un processo in cui, nel frattempo, la produzione di nuove edizioni o traduzioni nelle principali lingue europee cresce sempre più vistosamente.

L’inizio di una terza fase è da stabilirsi al 1940, anno in cui da un lato scadono i diritti della casa editrice fiorentina Bemporad, liberando il mercato da ogni residuo vincolo e scrupolo, dall’altro negli Stati Uniti viene prodotta da Walt Disney la riduzione a cartoni animati della storia, che – per quanto ne rappresenti una versione banalizzata ed edulcorata – rimane un film di grande qualità tecnica e narrativa, con un successo di portata mondiale che ha contribuito negli anni seguenti alla diffusione di Pinocchio nel resto del mondo, in Sud America, in Africa e in Asia – in questi ultimi due continenti da principio soprattutto attraverso la mediazione del francese e dell’inglese. La prima versione araba è del 1949 (Egitto, per la storica casa editrice Dar al-maʻarif, da un traduttore anonimo), quella ebraica del 1955 (in Israele, nella versione di Nacdimon Roghel, per la Zack & Co. di Gerusalemme), nello stesso anno quella persiana (opera dell’autorevole scrittore iraniano Sadeq Chubak, per la Ketabkhane-ye Gutemberg di Tehran), del 1957 è quella in swahili, di matrice missionaria (Tanzania, da padre Serafino Bella Eros, per la Tanzania Mission Press di Tabora), e del 1960 quella in amarico (Etiopia, da Lemma Feyssa per le Edizioni Collegio Universitario, Addis Abeba), mentre nel 1973 viene pubblicata la traduzione malgascia (Madagascar, di Elisabeth Ravaoarivelo, per la Librairie Ambozontany di Fianarantsoa); nel subcontinente indiano intanto venivano pubblicate la versione in assamese (di Srilakshewar Hazarika, per la Don Bosco High School, Guwahati, 1955), in singalese (di S. Gunasekara, per Gunaseta, Colombo, 1957), in malayam (di V.P. Raman Menon, per Deepam, Ernakulam, 1959), in panjabi (dello scrittore Rajindar Singh Ahluvalia, per Shrikanth Parkashian, Delhi, 1962), in tamil (di Naga Muttaya, per Siruvar ilakkiyappannai, Madras, 1969), in hindi (di Vishvanath Gupta, per il Ministero dell’Informazione, Delhi, 1972)… E così via, proseguendo l’inarrestabile corsa di Pinocchio intorno al mondo.

Con l’avvio della globalizzazione moderna, dagli anni 1980 in poi, possiamo considerare l’inizio di una quarta fase, che dura ancora oggi. Mentre in Italia le edizioni e le nuove illustrazioni si moltiplicano senza sosta, Pinocchio raggiunge tutte le lingue che non l’avevano ancora assaporato, e rinsalda la sua collocazione nei paesi già conosciuti, in un percorso globale difficile da tenere sotto controllo, perché ogni anno svariate decine di nuove edizioni o nuove traduzioni vengono pubblicate in tutto il mondo, includendo versioni in dialetti (non solo italiani), lingue minoritarie, lingue morte. Ragioni locali, scelte private di singoli traduttori o editori si confondono nell’immenso affare commerciale: Pinocchio è uno steady-seller, per il mercato infantile così come per un pubblico trasversale, e qualsiasi edizione ha la certezza di un numero di copie vendute sufficiente a convincere gli editori a investire anche in una nuova traduzione (o in un nuovo apparato illustrativo). E se da un lato aumenta il numero di traduzioni straniere redatte direttamente dall’italiano, dall’altro continua inesorabile la produzione, assolutamente incommensurabile, di edizioni ridotte di ogni tipo e genere, o di opere semplicemente ispirate a Pinocchio (sulla scia del fenomeno delle cosiddette “pinocchiate”), che spesso hanno poco a che fare con l’opera originaria, ma di essa conservano il nocciolo caloroso del burattino, delle sue sfide, e della sua vitalità ammaliante.

Del resto, malgrado il parziale radicamento nella geografia toscana e nella tradizione della Commedia dell’Arte italiana, la natura profondamente esistenziale di quest’opera, inserita in una cornice spazio-temporale fluida e di fatto universale, affollata di personaggi archetipici, ha stimolato – specialmente al primo sbarco in un nuovo paese – fenomeni di acculturazione e appropriazione del testo, che lo hanno reso così familiare al pubblico d’arrivo da farne spesso dimenticare l’origine italiana. Fenomeni che risultano visibili nella complessa onomastica, valore fondamentale per Collodi (il Grillo che assume un nome da dotto pandit in una versione bengalese), nelle allusioni gastronomiche (il soprannome di Geppetto, Polendina, può diventare la ‘asida, una specie di porridge, nella prima versione araba), nei riferimenti sociali (la risoluzione finale delle avventure è la fondazione di una cooperativa teatrale che si libera del padrone sfruttatore, Karabas Barabas/Mangiafoco, nella celebre riscrittura sovietica di Aleksej Tolstoj), nelle illustrazioni spesso adattate al contesto etnico d’arrivo, nelle introduzioni o note d’accompagnamento di traduttori o editori, che calano la storia vibrante che hanno tra le mani nelle loro città, nelle loro aspettative sull’educazione, sulla lingua, sulla società. Fenomeni visibili, talvolta, sin dalla scelta dell’equivalente di “burattino”, riferimento di una categoria assente o presente con forme e ruoli culturali molto differenti da una parte all’altra del mondo: incerto tra il puppet e la marionette in inglese, o tra il muñeco e il títere in spagnolo, assimilato al kasperl in certe versioni tedesche, sballottato tra il pahlavan-e kachal (‘paladin pelato’, la maschera principale del teatro delle marionette d’Iran) e l’adamak-e chubi (‘ometto di legno’) in persiano, affiancato in arabo all’arajuz (dal turco Karagöz, personaggio eponimo del teatro delle ombre), reso come simbolica ‘immagine dell’uomo’ (isariolona) in malgascio, e così via. Una biblioteca che raccogliesse tutte le traduzioni integrali di Pinocchio, le riscritture, le riduzioni, le opere ad esso ispirate, pubblicate finora in tutte le lingue e i dialetti del mondo – una biblioteca immensa in continua espansione – offrirebbe una fotografia di un lato dell’umanità da un’angolazione particolarmente vivace e acuta.

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