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10 Gennaio 2023

Tradurre con dei vincoli. Intervista a Brune Seban, traduttrice di Zerocalcare

Autore:
Thea Rimini, Université de Mons

Traduttrice di fumetti ed esperta di sottotitolazione, Brune Seban si è specializzata nella traduzione che impone dei vincoli, unendo passione per l’Italia e spirito militante. 

 

Lei è ormai la traduttrice ufficiale per la Francia di quel fenomeno che è diventato Zerocalcare, ma come ha iniziato a tradurre i suoi fumetti?

In quel periodo vivevo a Roma, lavoravo per la televisione, realizzavo i sottotitoli per i film italiani presentati ai festival francesi, come Cannes o Villerupt. Quando ho lasciato Roma, nel 2013, ho seguito un corso sulla traduzione letteraria in Svizzera. L’obiettivo era di concludere la formazione con un progetto di traduzione ben preciso: ho chiamato allora la casa editrice di Zerocalcare [Bao Publishing] per chiedere se avessero venduto in Francia i diritti di Dimentica il mio nome. Mi risposero di no, ma mi informarono che avevano appena ceduto quelli del fumetto successivo, Kobane Calling, che non era ancora uscito in Italia. 

Ho quindi contattato la casa editrice francese che aveva acquistato i diritti, mettendo in evidenza il fatto che provenivo dallo stesso ambiente di Zerocalcare e che conoscevo tutti i suoi riferimenti culturali, politici, sociali, etc. Ho avuto la fortuna che la persona che lavorava nella casa editrice fosse italiana e sapesse bene quanto questa componente fosse importante per l’autore. Mi ha fatto fare una traduzione di prova, che è andata bene, ed eccomi traduttrice di Zerocalcare. 

 

Quali sono le competenze necessarie per tradurre fumetti? Può parlarci delle differenze tra la traduzione di un romanzo o di un racconto e quella di un fumetto?

L’aspetto che, provenendo dal mondo dei sottotitoli, trovo più interessante è quello di doversi confrontare con dei vincoli molto forti. Tradurre significa fare continuamente delle scelte e il fatto di avere diversi vincoli, in un certo senso, limita il nostro campo d’azione. 

Ovviamente, nei fumetti è il balloon che impone dei limiti ma in Zerocalcare non c’è solo questo perché lui gioca molto con le dimensioni dei testi. Una battuta scritta in piccolo indica un personaggio che parla a bassa voce, mentre un testo scritto in grande segnala un personaggio che parla a voce alta. Bisogna quindi fare molta attenzione alla lunghezza di ciò che si sta traducendo, altrimenti il disegnatore, se si ritrova con poco testo, lo ingrandisce in modo che entri nel balloon dando l’impressione che il personaggio stia urlando quando invece non è così, o viceversa. 

Oltre al vincolo “fisico”, legato allo spazio, con Zerocalcare la questione si complica perché è lui che disegna, è lui che scrive il lettering, per lui, insomma, disegno e testo sono un tutt’uno. L’editore francese [Cambourakis] si è rivolto a una grafica per trovare un carattere che riproducesse la scrittura di Zerocalcare in modo che fosse uguale all’originale e che il tutto fosse concepito come un’immagine. 

 

Allora c’è una stretta collaborazione tra Lei e la grafica…

In effetti sono ossessionata dalla questione delle dimensioni. Il risultato finale deve essere il più omogeneo possibile nelle proporzioni tra testo e immagine. È per questo che solo quando mi viene inviato il testo impaginato, mi rendo spesso conto che la parola che ho usato non è quella giusta. Questa fase di rilettura per me è essenziale. 

 

Il linguaggio di Zerocalcare però pone delle difficoltà ulteriori, che non sono solo legate solo al formato del fumetto, ma anche alla sua lingua… 

Recentemente ho partecipato a una tavola rotonda di traduttori di fumetti (il festival VO-VF di Gif-sur-Yvette) in cui il traduttore J-B. Coursad ha fatto notare come l’aspetto più complicato di questo genere sia l’uso di un linguaggio attuale, non strettamente letterario, un linguaggio diverso da quello che lui ha definito il “linguaggio senza tempo” della letteratura. Tutto questo è estremamente pertinente per Zerocalcare. Ciò che affascina, quando si traducono i suoi albi, è proprio il doversi confrontare con il suo linguaggio, con quelle frasi che sono impregnate di oralità ma che si rivelano ben più complicate di quanto sembrino. Zero dà l’impressione di una semplicità totale, dell’autore che “parla come magna e scrive come parla”, ma è un’illusione. È un linguaggio tutto suo, che intreccia il romano con una continua inventiva. Bisogna aderire completamente alla sua lingua per poterla tradurre. Le faccio un esempio: rileggendo una traduzione ormai pubblicata, mi sono accorta di aver tradotto male l’espressione “mica sono raffinato come voi, papaveri inamidati”. Mi era ben chiaro il senso di rigidità trasmesso dall’immagine, ma non avevo colto il fatto che i “papaveri” erano “i compagni”, i compagni che si sono imborghesiti.  

 

Come affronta il romano? 

Prima di tutto, analizzo il testo. In traduzione, bisogna riprodurre lo stesso effetto che il lettore italiano avrebbe leggendo il fumetto di Zerocalcare, o meglio scegliere tra i diversi possibili effetti. Devo anche tener presente che il suo romano non è totalmente estraneo agli italiani; quindi, ho pensato che fosse importante utilizzare un linguaggio popolare. Il mio obiettivo è rendere il fumetto in un linguaggio che sia il meno piatto possibile, senza però usare l’argot. Il romano infatti è piuttosto stabile, mentre l’argot cambia di continuo. La domanda che noi traduttori ci poniamo è sempre la stessa: è lecito usare parole che passeranno di moda velocemente? C’è poi la questione dell’estraneità: per la maggior parte degli italiani, alcune delle espressioni usate da Zero rimangono comunque strane o addirittura incomprensibili. Se parto dall’idea che devo ricreare lo stesso effetto sul lettore francese, devo cercare qualcosa di inusuale. Ho deciso allora di mantenere alcune parole in romano e di inserire un glossario, ma l’ho messo alla fine del volume per evitare di appesantire la lettura. In questo paratesto ho aggiunto delle spiegazioni di riferimenti politici come il G8 di Genova o i centri sociali (un’espressione che avrei potuto tradurre con “squat” ma che ho deciso di lasciare in italiano perché non indica la stessa realtà). Una volta pubblicata la traduzione, mi sono chiesta se le scelte lessicali che avevo fatto per quell’albo sarebbero state pertinenti per tutti gli altri. In realtà, penso che per il prossimo non userò nessun lessico perché l’operazione rischierebbe di diventare un po’ forzata. 

Un’altra questione che devo affrontare traducendo Zero riguarda il testo che fa parte dell’immagine, ad esempio gli slogan sui muri o gli adesivi con le scritte nella stanza di un personaggio. Confesso che è un problema che non ho ancora del tutto risolto. All’inizio li ho tradotti, ma adesso non sono più convinta della scelta perché trovarsi nella stanza di un adolescente italiano con delle scritte in francese può sembrare incongruo. Ora uso molto più note, ma quando ho cominciato non era una pratica accettata.  In fin dei conti tutto ruota sempre intorno alla stessa domanda: l’immagine fa parte delle cose da tradurre o no?

 

Durante il lavoro di traduzione ha avuto contatti con Zerocalcare?

Ci siamo incontrati una volta e abbiamo parlato perché avevamo delle cose in comune – anche lui, come me, realizzava i sottotitoli dei film prima di diventare così famoso – e poi ci siamo scritti. Per la prima traduzione mi ha un po’ aiutato, ma a poco a poco non mi ha più risposto, non aveva più tempo. Chiedo allora spesso consiglio agli italiani e ai romani, soprattutto gli domando a che cosa pensino leggendo un certo passo. So però che Zero ha fatto leggere la mia prima traduzione ai suoi amici francesi e che l’hanno apprezzata. Lui dice che il suo francese si ferma agli anni Novanta, non padroneggia quello contemporaneo.

 

Lei ha tradotto tutto Zerocalcare, ma in effetti per La Prophétie du Tatou si tratta di una ritraduzione: il volume è stato pubblicato una prima volta nel 2014 per Paquet…

In Francia, le traduzioni non seguono l’ordine di uscita degli albi in Italia. Il primo libro che ho tradotto è stato Kobane Calling e poi, quando in Italia è stata ripubblicata La profezia dell’armadillo, arricchita da una bellissima prefazione e postfazione, io e l’editrice ci siamo chieste se dovessimo tradurre solo i nuovi testi o ritradurre l’intero volume. Dato che lo stile della prima traduzione è molto diverso dal mio, abbiamo optato per la seconda possibilità. 

 

La sua nuova traduzione ha avuto molto più successo della prima. Possiamo dire che una nuova traduzione è come un nuovo libro?

Onestamente non posso valutare l’impatto della traduzione in sé: nel successo di un libro sono tanti i fattori da prendere in considerazione. Penso però che sia stato fondamentale il sostegno di   Cambourakis. Se poi la traduzione equivalga a un nuovo libro, questo è difficile da dire…indubbiamente la lingua gioca un ruolo importante anche se, nel caso del fumetto, l’immagine ha un ruolo essenziale.  

 

E se torniamo al fumetto in generale, quali difficoltà deve affrontare un traduttore di fumetti italiani?

Il fumetto italiano è molto influenzato da quello americano, i suoi codici sono più vicini ai comics che alla produzione francese. Per esempio, tutte le onomatopee sono americane e per il lettore italiano è normale, ci è abituato. In Francia invece non funzionerebbe, è un vero rompicapo: manteniamo allora lo stile italiano, che è uno stile “comics” o lo adattiamo ad uso del lettore francese?

 

Prima di tradurre fumetti, ha lavorato a lungo nella sottotitolazione. Ci può raccontare come ha cominciato questo tipo di lavoro?

Ho studiato letteratura e sociolinguistica. Poiché mio padre è italiano e io ho vissuto in Italia quando ho iniziato le elementari, in Francia mi sono laureata in italiano e poi sono tornata a Roma per l’Erasmus. Mi sono imbattuta nei sottotitoli perché cercavo un lavoro. Il numero di vincoli imposti da questo mestiere è enorme, e non solo perché il numero di caratteri è rigidamente definito, ma soprattutto perché non si può rileggere. Inoltre, la battuta deve essere tradotta nell’ordine del discorso del personaggio, non in quello logico. Quando realizzavo i sottotitoli, ciò che mi interessava di più era far capire allo spettatore l’estrazione sociale dei personaggi. Per i film contemporanei, bisogna anche utilizzare un linguaggio molto attuale e nel cinema italiano c’è il problema ulteriore del dialetto…

 

Si può rendere il dialetto nei sottotitoli?

No, è davvero troppo difficile, e sicuramente non utilizzerei una varietà di francese regionale. Naturalmente, se ci sono dei personaggi che parlano in dialetto e proprio per questo non si capiscono, allora bisogna trovare un modo per trasmettere allo spettatore questo problema di comunicazione.  

 

Di solito i registi intervengono nel lavoro di sottotitolazione?

È molto raro, anche se è bello quando accade. Marco Bellocchio si è interessato ai sottotitoli dei suoi film. È venuto a trovarci quando lavoravamo a Vincere e ricordo che ci ha fatto tante domande.

In realtà, esistono due mondi: quello dei sottotitoli per il cinema e quello dei sottotitoli per i festival. Io ho lavorato solo per i festival dove spesso si ha poco tempo e in Italia non si è nemmeno ben pagati. A Cannes, per esempio, è pazzesco: si presentano film molto costosi, ma noi avevamo solo una settimana per fare i sottotitoli. Probabilmente in Francia il mondo dei sottotitoli è diverso. 

 

Oltre che traduttrice, Lei è un’attivista del movimento LGBQT. Pensa che sia possibile fare una traduzione militante, una traduzione femminista, per esempio, come sostengono Susanne de Lotbinière-Harwood e Luise von Flotow? Per queste traduttologhe, la traduzione è «comme une activité politique visant à faire apparaître et vivre les femmes dans la langue et dans le monde». 

La traduttrice, prima di tutto, è una lettrice. Penso che si possa fare tutto in modo femminista. Dipende però da ciò di cui si sta parlando: ci si riferisce, per esempio, al fatto che si è sensibili a qualcosa che ha una chiara componente femminista nel testo originale e che non è stato reso nella traduzione? Mi è capitato a volte di leggere delle traduzioni che non avevano colto il significato politico che per me invece esisteva nel testo, ad esempio nel caso di scelte di traduzione legate a una scarsa conoscenza della cultura LGBQT. Questo non significa che siano delle cattive traduzioni, ma credo che ci siano degli errori di traduzione. Con le culture minoritarie il problema è che sono pochi i traduttori che le conoscono, le riconoscono e quindi riescono a tenerne conto.

 

Le è mai capitato di introdurre nelle sue traduzioni degli interventi di stampo femminista o LGBQT (delle aggiunte al testo originale, per esempio)? 

Ancora una volta è una questione di traduzione. Qual è l’effetto che ha avuto il testo sul pubblico di partenza? E quale effetto vorrei che avesse sul pubblico della traduzione? Zerocalcare è uno scrittore engagé, che ha dichiarato più volte di non voler rafforzare gli stereotipi di genere e di non voler utilizzare insulti omofobi (anche se sono molto comuni in italiano come in francese). Quindi credo che sia giusto fare attenzione a questi aspetti ed eventualmente inserire delle aggiunte in questa direzione. Io l’ho fatto proprio perché mi sembrava coerente con la sua poetica: ho inserito delle parole connotate in senso femminista che potessero parlare a una certa comunità, a una certa cultura minoritaria. La traduzione non è solo un passaggio da una lingua all’altra: la questione del transfert culturale è essenziale.

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