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Un testo ibrido e coinvolgente – vincitore del Premio Calvino 2021 (premio letterario per scrittori esordienti) - perfetto amalgama di documenti e narrazione creativa.
La struttura del testo risponde a un progetto articolato. C’è una premessa che spiega la genesi del libro; c’è la storia dell’infermiere Tornior, colonna del repartino, una sorta di alter ego concreto e fattivo e profondamento motivato dello psichiatra Sorrentino; c’è la storia, naturalmente, di Sorrentino, animatore inesausto dell’esperienza (ha lasciato l’America della guerra del Vietnam per venire in Italia a studiare, innamoratosi, leggendo L’istituzione negata, della rivoluzione avvenuta nel manicomio di Gorizia e in corso a Trieste. Amava ripetere, mescolando Cohen e Tobino, che la pazzia è “una crepa da cui sgorga una luce capace di sgominare tutte le ipocrisie”); c’è la storia dell’attore Carlo Colnaghi ‒ utente, peraltro consapevole e riconoscente a suo modo, dei servizi psichiatrici ‒ con la sua indisponibilità all’ordine, col suo sentirsi sempre in transito, col suo ostinato oscillare tra la strada e il desiderio di riconoscimento e col suo incontrarsi e collidere con Sorrentino e con Tornior, ma soprattutto col regista Daniele Segre (col quale interpreterà Manila Paloma Blanca e andrà al festival di Venezia); c’è poi una breve nota finale dove si dice del riflusso di questa esperienza a partire dagli anni 90. Ci sono infine, cuore del testo, le storie struggenti dei “paz.”: i pazienti. E qui l’incisività di scrittura e l’abilità di costruzione dell’autrice emergono al loro meglio. A quarant’anni dalla Legge Basaglia una riflessione narrativamente coinvolgente sull’istituzione psichiatrica.