Leonardo Sciascia in altre lingue
Autore: Paolo Squillacioti, CNR
La fortuna all’estero di Leonardo Sciascia (1921-1989) ha inizio quando lo scrittore era ancora poco noto in Italia: ne dà notizia lui stesso nell’intervista con la rivista «Il Caffè politico e letterario» che lo presentò al mondo culturale italiano nell’aprile 1956: «Un mio libretto su Pirandello è stato tradotto in francese, ma non so quel che hanno detto. In America pare che abbia suscitato un certo interesse». Il libretto è Pirandello e il pirandellismo, pubblicato dall’omonimo editore Salvatore Sciascia di Caltanissetta nel 1953: il tono di sufficienza cela con ogni probabilità un’intima soddisfazione, ma conferma la ripulsa che Sciascia manifestò nei confronti di tutta la sua produzione anteriore alle Parrocchie di Regalpetra, apparse in quello stesso 1956 (tradotte negli USA nel 1969 e in Francia l’anno successivo).
La vera fortuna estera di Sciascia cominciò solo qualche anno dopo, con l’uscita del suo romanzo più fortunato, Il giorno della civetta (Einaudi, 1961), tradotto in Francia nel 1962, l’anno successivo negli USA (col titolo infelice di Mafia vendetta), e quindi in Romania, Ungheria, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Svezia.
Meno precoce, ma altrettanto ampia, fu diffusione del secondo romanzo Il Consiglio d’Egitto (Einaudi, 1963), tradotto in romeno e inglese nel 1966, in ungherese e tedesco nel 1967.
La traduzione svedese del terzo romanzo A ciascuno il suo (Einaudi, 1966) fu pubblicata nello stesso 1966; nel 1968 uscì anche in Spagna (in castigliano e in catalano), e quindi in Bulgaria, Cecoslovacchia, Inghilterra e Germania.
Da questo quadro sommario della prima fortuna internazionale di Sciascia emerge il grande interesse per un autore che per tutta la prima fase della sua attività si era dedicato quasi esclusivamente a un’area periferica come la Sicilia. Ciò che invece non si coglie pienamente è l’importanza che nella diffusione europea dell’opera di Sciascia ebbe la Francia. La questione merita un approfondimento.
In primo luogo, perché Sciascia ebbe sempre una spiccata predilezione per la letteratura e la cultura francese, che ci concretizzò in ripetuti viaggi a Parigi che culminarono in un trasferimento nella capitale pianificato ma non portato a compimento. Inoltre, perché lo scrittore si sentiva veramente compreso soltanto da studiosi francesi come Dominique Fernandez, Philippe Renard, Mario Fusco, e come quel Claude Ambroise che Sciascia arrivò a designare come il “suo” critico. E fu grazie all’opera di studiosi di origine italiana come lo stesso Fusco e Jean-Noël Schifano, che l’intera produzione dello scrittore siciliano è stata resa disponibile in francese, in singoli volumi e in una ponderosa raccolta in tre volumi, assemblata da Fusco fra il 1999 e il 2002: un corrispettivo dell’Opera raccolta per Bompiani da Ambroise tra 1987 e 1992, e un’impresa decisiva nel percorso di consolidamento dell’idea di Sciascia come un classico della letteratura europea del Novecento. Anche in Francia si stava infatti affermando una visione di Sciascia troppo ancorata alle polemiche della fine degli anni Ottanta e a quelle postume dei primi anni Novanta, e l’aver rimesso in circolo l’intera produzione dello scrittore ha consentito di correggere quell’immagine deformata e parziale nei critici francesi.
Oggi la Francia resta, insieme alla Spagna (dove la produzione sciasciana è stata tradotta quasi per intero), uno dei paesi europei dove è più vivo l’interesse per lo scrittore: ne sia testimonianza il recentissimo interesse, oltre che per l’opera canonica, quella sistematizzata nell’edizione Bompiani e ora riedita con criteri filologici da Adelphi (2012-2019), anche per la produzione dispersa, che la casa editrice milanese sta recuperando da circa un ventennio: penso alla traduzione della raccolta di saggi stendhaliani di Sciascia assemblata dalla vedova dello scrittore Maria Andronico col titolo L’adorabile Stendhal (Adelphi, 2003), apparsa ora in Francia con la traduzione di Carole Cavallera e il titolo Stendhal for ever. Écrits 1970-1989 (Cahiers de l’Hôtel de Galliffet, 2020).
Alla fortuna europea di Sciascia sono stati dedicati vari convegni, un’intera collana come “Sciascia scrittore europeo” della Olschki di Firenze (tre volumi pubblicati dal 2011, dedicati alla fortuna in Svizzera, in Jugoslavia e nei paesi di lingua e cultura tedesca), ampie sezioni della rivista internazionale di studi sciasciani «Todomodo», anch’essa edita dalla Olschki, dove è stato approfondita la ricezione dell’opera dello scrittore in paesi di tutto il mondo, dalla Spagna al Giappone, dalla Cina ai paesi di lingua araba, dalla Polonia all’Inghilterra.
Per un quadro sommario ma indicativo ci si può rivolgere alla sezione dedicata alle «Opere tradotte» della Bibliografia degli scritti di Leonardo Sciascia, curata 2010 per Sellerio da Antonio Motta (con le traduzioni menzionate in ordine cronologico) e alla Biografia delle traduzioni di Frans Denissen, in Verità e giustizia. Leonardo Sciascia vent’anni dopo, a cura di V. Lo Cascio, Milano, Academia Universa Press, 2009 (con le traduzioni organizzate in base all’opera di Sciascia).
Dall’insieme degli studi viene fuori una diffusione planetaria delle traduzioni tale da rendere impraticabile una sintesi che non si riduca a un elenco di titoli, lingue e date. Preferisco concentrarmi su un risvolto di una fortuna all’estero che complessivamente dimostra come ci sia stato e perduri un interesse ampio e generalizzato. Non mancarono tuttavia i casi di censura, come si conviene a un autore che riuscì a scontentare tutti i detentori di verità ufficiali e precostituite, e interessare chiunque coltivasse il dubbio e la curiosità intellettuale.
Emblematico il caso delle prime traduzioni cecoslovacche: della silloge di racconti Gli zii di Sicilia, apparsa per Einaudi nel 1958 e in edizione accresciuta nel 1960, la casa editrice SNKLU di Praga pubblicò nel 1962 una traduzione limitata ai racconti Il Quarantotto e La zia d’America, e che escluse scientemente La morte di Stalin, una critica pungente allo stalinismo all’indomani della rivelazione dei crimini del dittatore da parte di Chruščëv. Non ho notizia di reazioni di Sciascia a questa selezione; diverso fu l’atteggiamento dello scrittore nel 1979, quando scoprì che la casa editrice Smena di Bratislava aveva pubblicato in traduzione la silloge di racconti Il mare colore del vino (Einaudi, 1973), decurtandola di due testi: La rimozione, una satira sulla reazione di un comunista italiano alla destalinizzazione, e Reversibilità, racconto politicamente innocuo: «Perché due», si chiese Sciascia in un articolo apparso sull’«Ora» di Palermo il 6 dicembre 1979, «se quello che si poteva eliminare era uno, e precisamente La rimozione? Non è legittimo il sospetto che ne abbiano eliminati due per ipocrisia, perché non si dicesse che avevano eliminato il solo che desse fastidio? L’altro che hanno soppresso, è dal punto di vista di quel regime, assolutamente innocente: racconta della Sicilia borbonica. Come in certi delitti di mafia, si è voluta nascondere la natura, l’intenzione, il fine di quella soppressione».