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12 Luglio 2022

La Divina Commedia in altre lingue (seconda parte)

Autore:
Mirko Tavoni, Università di Pisa

Nei primi sessant’anni del Novecento escono traduzioni in una varietà di versi (alessandrini, deca-dodecasillabi, liberi), variamente rimati e non rimati, da parte di traduttori di diversa fisionomia: filosofi e teologi (Amédée de Margerie, 1900; Joachim Berthier, 1921), italianisti (Henri Hauvette, 1921; Pierre Ronzy, 1960), musicologi e storici dell’arte (Adolphe Meliot, 1908; Joseph André Pératé, 1922-1924), archivisti (Henri Longnon, 1931), poeti, scrittrici e scrittori (Louise Espinasse-Mongenet, 1912; René-Albert Gutmann, 1928; Martin-Saint-René ovvero Gustave Lucien René Martin, 1935; André Doderet, 1938; Alexandre Masseron, 1947-1950). Ma le due traduzioni più importanti sono quella (uscita nell’anno centenario 1965) dell’italianista e dantista del Collège de France André Pézard, traduttore e commentatore per la Pléiade delle opere complete di Dante; e quella della poetessa, critica militante e italianista Jacqueline Risset (1985-1990). La traduzione di André Pézard, in decasillabi non rimati, si caratterizza per il sistematico uso di arcaismi e di voci dialettali che intendono riprodure il plurilinguismo del testo di Dante. In sintonia con “l’idea di Dante” di Gianfranco Contini, Pézard problematizza, con mentalità critico-filologica, l’esatto significato e la precisa connotazione di ogni espressione da tradurre e punta a produrre un testo che faccia fare al lettore francese un’esperienza paragonabile a quella del lettore italiano rispetto al testo di Dante, cioè che gli faccia percepire la distanza linguistica che ce ne separa (per quanto la distanza dell’italiano moderno dall’italiano antico sia, com’è noto, molto minore della distanza tra francese moderno e francese antico). La sua soluzione è stata accusata di evocare più un medioevo francese che un medioevo italiano, e di rendere specialistica la lettura di Dante allontanandone il grande pubblico. Si può solo consentire, peraltro, con l’osservazione di Jacqueline Risset che la lingua di Dante non guardava certo al passato ma al futuro. Legata alla rivista d’avanguardia Tel Quel, Risset punta decisamente a una traduzione letterale, chiara e moderna, anche sacrificando all’immediatezza del senso la regolarità del metro, per valorizzare così non solo la leggibilità, che ha certamente portato ad ampliare la platea dei lettori francesi, ma anche l’effetto tipicamente dantesco della velocità del dettato. 

Quasi reagendo a quella la stessa Risset ha chiamato “l’assenza” di Dante dalla letteratura francese, nel senso di una qualche alterità di Dante rispetto alla sua impronta classicistica di lunga durata, negli ultimi trent’anni si sono succedute traduzioni che continuano a sperimentare una varietà di soluzioni metriche, dai versi sciolti polimetri (Lucienne Portier, 1987; il musicista Marc Didier Garin, 2003), alla terza rima polimetra (il serbo bosniaco Kolja Mićević, 1998), ai decasillabi non rimati (Marc Scialom, 1996), all’alternanza di decasillabi e dodecasillabi (il poeta Jean-Charles Vegliante, 1996-2007), alle terzine di decasillabi (Danièle Robert, 2016), o stranamente di ottosillabi (René de Ceccatty, 2017).

La prima traduzione spagnola ottocentesca, in terzine di endecasillabi (1868), si deve al nobile, politico, militare e letterato Juan Manuel de la Pezuela y de Ceballos, seguita dalla traduzione in prosa dell’ingegnere Manuel Aranda y Sanjuán (1871). Juan de la Pezuela, figlio del vicerè del Perù e lui stesso nato a Lima, ricoprì ruoli di governo coloniale a Porto Rico e Cuba, e la sua traduzione fu la prima a diffondere la conoscenza di Dante in America Latina. Per trent’anni presidente della Real Academia de la Lengua, il suo interesse per Dante era puramente letterario. Ben diversa era la motivazione che spinse Bartolomé Mitre, statista, giornalista e uomo di lettere argentino, e presidente della Repubblica Argentina dal 1862 al 1868, a produrre la sua traduzione in terzine, pubblicata fra il 1893 e il 1897, nello spagnolo parlato nel Rio de la Plata. Questo progetto, preparato dalla tradizione umanistica inaugurata da Andrés Bello, maestro di Simón Bolívar, dalla tradizione di lettura dei poemi nazionali iniziata con Esteban Echeverría, poeta e politico romantico mazziniano, e dal poema epico nazionale Martín Fierro, apparve a Mitre un vero e proprio “atto di governo”, col quale dimostrare al mondo la modernità e maturità storica dell’Argentina, che si metteva alla pari degli Stati Uniti che con Longfellow avevano tradotto la Commedia nel 1867, e insieme rendere omaggio all’Italia che aveva da poco completato la sua unità politica. Il nome e il mito di Dante in America Latina, e particolarmente in Argentina, erano infatti, e resteranno fino a oggi, legati alle imponenti immigrazioni dall’Italia, che lo identificavano con la nostalgia e l’orgoglio della patria lontana, e lo celebravano con l’ascolto, fruibile anche dagli analfabeti, della lettura dei canti nei teatri, con le statue erette nelle città argentine come in quelle italiane, e con un’impresa incredibile come il Palacio Barolo di Buenos Aires, che nei suoi 100 metri di altezza (uno per ogni canto) riproduce la cosmologia della Divina Commedia.

Fra le traduzioni novecentesche e oltre ricordiamo quelle, prodotte in Spagna, di Arturo Cuyás de la Vega (1965, in prosa), Antonio J. Onieva (1965, versi sciolti), Ángel Crespo (1973-1977, versi sciolti), Nicolás González Ruiz (1973, terza rima), Luis Martinez de Merlo (1988, endecasillabi sciolti); e quelle, prodotte in Argentina, di Enrique Martorelli Francia (1967, terzine di endecasillabi), di Ángel J.Battistessa (1968), di Antonio Jorge Milano (2002) e di Claudia Fernández Speier (2021). 

Le prime traduzioni in portoghese vengono prodotte, negli stessi anni, in Portogallo e in Brasile: in Portogallo quella in prosa di Joaquim Pinto de Campos (1886) e quella in terza rima di Domingo José Ennes (1887-18889); in Brasile quella in endecasillabi sciolti di Francisco Bonifácio de Abreu (1888) e quella in terzine di José Pedro Pinheiro (1888-1907). E nel corso del Novecento e oltre le traduzioni brasiliane – João Ziller (1953), Haroldo de Campos (1976), Cristiano Martins (1976-1979), Hernani Donato (1981), Eugenio Mauro (1998), Jorge Wanderley (2004) – sovrastano quelle portoghesi di Marques Braga (1955-1958) e di Vasco Graça Moura (1995). 

La prima traduzione catalana moderna, di Narcís Verdaguer i Callís, fu pubblicata in occasione del centenario del 1921, seguita nel 1923 da quella di Llorenç de Balanzó. La più nota, quella di Josep Maria de Sagarra, in decasillabi rimati, iniziò a uscire a puntate nel 1935 nella Veu de Catalunya, ma si interruppe all’inizio della guerra civile e poté essere portata a termine e pubblicata solo nel 1947-1951, dopo aver faticosamente ottenuto l’autorizzazione del governo franchista. Ad essa è seguita nel 2001 quella di Joan F. Mira, in decasillabi non rimati. 

La prima traduzione in rumeno (1860), in prosa arcaizzante, si deve all’intellettuale e politico Ion Heliade Rădulescu, promotore di una modernizzazione-standardizzazione della lingua rumena aperta all’influsso dell’italiano. Le due traduzioni fondamentali sono quelle del poeta e scrittore George Coșbuc, pubblicata postuma nel 1925, e quella della poetessa e scrittrice Eta Boeriu (1965), entrambe in terza rima.

 Una traduzione in occitano, in prosa, fu prodotta nel 1967 dal provenzalista Jean Roche, e una in galego, in terzine, dallo scrittore e uomo politico galiziano  Darío Xohán Cabana nel 1990. La prima traduzione della Commedia in sardo logudorese si deve al sacerdote Pedru Casu e risale al 1929, seguita da quella, dell’Inferno, del pure sacerdote Paolo Monni del 2000, entrambe in terzine di endecasillabi. Solo recenti, come recente è la rivendicazione attiva dello status di lingua, le traduzioni in friulano: dopo quella incompleta in versi sciolti di Domenico Zannier, anche lui sacerdote, del 1997, quelle dell’Inferno in terzine di Ermes Culòs, friulano emigrato in Canada (pubblicata online, 2006) e di Pierluigi Visintin (2011), e quella integrale, pure in terzine, di Aurelio Venuti (2015). Le traduzioni in dialetti italiani sfiorano la quarantina, distribuendosi equamente sui dialetti settentrionali, centrali e meridionali dall’inizio dell’Ottocento a oggi. Basterà ricordare, con deferenza, il “travestimento” in ottave milanesi dei primi canti dell’Inferno operato da Carlo Porta a partire dal 1804, sulla scia della traduzione della Gerusalemme liberata da parte del massimo poeta dialettale milanese del Settecento, Domenico Balestrieri.

Altre lingue germaniche si dotano delle loro traduzioni a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. In nederlandese, l’Inferno viene tradotto in terza rima dal poeta Jan Jakob Lodewijk ten Kate nel 1876; l’intero poema dal poeta Jacques Charles Rensburg nel 1906-1908, dal poeta Albert Verwey nel 1923, dal religioso Christinus Kops nel 1930, dalla altrimenti sconosciuta Betsy van Oyen-Zeeman nel 1932 (in endecasillabi sciolti la traduzione di Kops, in terza rima le altre). In danese, abbiamo le traduzioni della Commedia del poeta e critico Christian Knud Frederik Molbech, in terza rima (1851-1863) e dello studioso Ole Meyer, in endecasillabi sciolti (2000); in svedese, le traduzioni della Commedia del pastore Nils Lovén (1856-1857), della poetessa Aline Pipping (1915), dello scienziato Arnold Norlind (1921) e del poeta Ingvar Björkeson (1983), quest’ultima in endecasillabi sciolti, le precedenti in terza rima. Bisogna aspettare il 1965 per avere la prima traduzione in norvegese, in terza rima, per opera dei poeti Henryk Rytter e Sigmund Skard, e il 1993 quella, in endecasillabi sciolti, del filologo Magnus Ulleland. E bisogna aspettare il 1968 per avere la traduzione in islandese di 12 canti della Commedia, in terza rima, del poeta Guðmundur Böðvarsson, e il 2010 quella integrale in prosa del letterato Erlingur E. Halldórsson.

Nel 1963 il matematico e sacerdote irlandese Pádraig de Brún (noto anche col nome di Patrick Joseph Browne) pubblica una traduzione gaelica in versi sciolti dell’Inferno.

Muovendo verso Est, la prima traduzione in greco è quella dell’Inferno del cefallenio Panaghiotis Vergotìs; la seconda quella della Commedia in lingua greca katharèvousa (la varietà alta, letteraria, della diglossia greca), in dodecasillabi piani, di Konstantinos Mousouros Pasha (1882-1883), che come dice il suo nome è un suddito, nonché diplomatico, dell’Impero Ottomano. Segue nel 1905 la traduzione dell’Inferno di Geōrgios Kalosgouros (1905), ma la traduzione di maggior valore è quella dell’intera Commedia, in dimotikì (la varietà bassa, popolare, della diglossia greca), in endecasillabi sciolti, del poeta Nikos Kazantzakis, intellettuale di formazione europea. Pubblicata nel 1934, poi profondamente modificata in sintonia con l’elaborazione del suo proprio poema Odissea, e pubblicata in edizione definitiva nel 1954-1955, esibisce grande forza espressionistica nella resa del linguaggio dantesco.

Passando al dominio slavo, che si estende dall’Adriatico agli Urali, e tenendo in mente la fondamentale divisione storico-culturale fra lingue appartenenti alla Slavia Romana, ovvero cattolica, aventi come lingua di cultura il latino e scritte in caratteri latini (sloveno, croato, ceco, slovacco, polacco), e lingue appartenenti alla Slavia Ortodossa, aventi come lingua di cultura il greco / lo slavo ecclesiastico e scritte in caratteri cirillici (serbo, macedone, bulgaro, russo, ucraino), si constata una prevalenza di traduzioni della Commedia nella Slavia Romana, com’era prevedibile data la ben diversa affinità/compatibilità fra il mondo di Dante e l’una e l’altra Slavia. In particolare, si danno traduzioni in sloveno e croato, le lingue della Dalmazia legata per secoli a Venezia  – del resto, l’umanista croato Marko Marulić, ovvero Marcus Marulus Spalatensis, nel 1480 aveva tradotto in latino il primo canto dell’Inferno, come avevano fatto i suoi colleghi italiani Giovanni Bertoldi da Serravalle e Matteo Ronto. E c’è una forte presenza del polacco, segno di una cultura particolarmente italofila. Ma nel XIX e XX secolo, a partire dal Romanticismo, c’è una circolazione europea di Dante che, meno intensamente, penetra anche in Serbia, Macedonia, e soprattutto Russia, Ucraina e Bulgaria.

Anzi, la traduzione più antica è russa: il medico Dmitrij Egorovič Min traduce l’Inferno nel 1855, in terzine, poi impiega trent’anni, fino alla morte avvenuta nel 1885, per tradurre le altre due cantiche. L’edizione completa uscirà postuma, dopo aver superato problemi di censura zarista, solo nel 1907 e otterrà il premio Puškin dell’Accademia delle Scienze. Di poco posteriore è la prima traduzione polacca, a rime baciate e alternate, del poeta romantico Julian Korsak, uscita postuma nel 1860; seguita nel 1864-1865 da quella, rimasta inedita, dello scrittore, soprattuto romanziere, Józef Ignacy  Kraszewski; e nel 1870 da quella, in endecasillabi sciolti, del giurista e poeta Antoni Robert Stanisławski. Nel 1878-1882 compare la traduzione del poeta boemo Jaroslav Vrchlický, intesa a dimostrare la capacità della lingua ceca  – una finalità che si può presumere attiva in molte prove di traduzione in lingue non dotate di grandi letterature, e da supporre sempre in primo piano, in chiave militante, nel caso  di prove di traduzione in lingue minoritarie. Dunque in tutto il vastissimo dominio slavo, nel XIX secolo, si danno solo 5 traduzioni della Commedia, e 3 di queste sono in polacco. 

Nel corso del XX secolo, partendo dalle coste adriatiche, troviamo le traduzioni in sloveno, integrali e in terzine, del teologo Jože Debevec (1910-1914), del critico letterario e poeta Tine Debeljak (1960) e dello scrittore e politico Andrej Capuder (1972); e la traduzione dell’Inferno e del Purgatorio del poeta Alojz Gradnik (1959-1965). In croato le traduzioni del pittore e politico Isidor Kršnjavi (integrale, 1909-1915), del poeta e politico Vlamidir Nazor (Inferno, 1943), del letterato Mihovil Kombol (integrale in terzine, 1948-1960, completata per l’ultima parte del Paradiso da Olinko Delorko). In ceco la traduzioni in terza rima della Commedia del poliglotta Otto František Babler (1952), coadiuvato dal poeta Jan Zahradníček, non accreditato perché perseguitato dal regime comunista; e del solo Inferno dello studioso di filosofia antica Vladimir Mikeš (1978). In slovacco la traduzione della Commedia del letterato Jozef Felix e del poeta Viliam Turčány (1958-1982), e del solo Inferno dello studioso Karol Strmen (1965). Notevolissimo il bilancio del polacco. Alle tre traduzioni ottocentesche già citate se ne aggiungono quattro novecentesche, tutte integrali: quella inedita di S. R. Dembiński (1902); quella “canonica”, in terza rima, del romanista e poeta Edward Porębowicz (1925); e quelle di J. Michał Kowalski (1932) e di Alina Świderska (1947). E, a testimoniare il perdurante interesse, altre due prodotte negli ultimi anni: di Agnieszka Kuciak (2006) e di Jaroslaw Mikołajewski (2021). 

Passando alla Slavia Ortodossa abbiamo, per il serbo, Dragisa Stanojevic (integrale, 1928); per il macedone Georgi Stalev (integrale, 1967); per il bulgaro Konstantin Veličkov (Inferno, 1906), Kiril Christov (Inferno, 1935) e Ljuben Ljubenov (integrale, 1975). Nel 1902 esce la traduzione russa completa di Nikolaj Golovanov, che resta l’edizione di riferimento fino a che, in età sovietica, viene sostituita da quella del poeta già acmeista Michail Leonidovič Lozinskij (premio Stalin 1946). Preparata da approfondite ricerche storiche, ampi e sistematici contatti con studiosi di varie discipline e approfondite riflessioni sulle potenzialità della lingua russa, e realizzata per buona parte nelle eroiche condizioni dell’assedio di Leningrado, è valutata di notevolissima qualità concettuale e stilistica. Viene ristampata nel 1968 entro l’edizione completa delle opere di Dante e rimane la sola in uso ancora per decenni. Le si affiancano in rapidissima successione, concepite negli anni della perestrojka, quella in endecasillabi sciolti del poeta e studioso Aleksandr Anatol’evic Iljušin (1995), che adotta svariari registri, commistione di arcaismi e neologismi, inserti di slavo ecclesiastico, non alla portata del lettore comune; quella dello scultore, pittore e attore Vladimir Lemport (1996-97), che la correda di un apparato figurativo prodotto da lui stesso e punta a una più diretta leggibilità; e quella di Vladimir Marancman (1999-2006), che si propone di offrire al lettore una traduzione comprensibile pur senza perdere il senso della distanza storica. La prima traduzione ucraina è del poeta, intellettuale e politico ucraino occidentale, socialista e nazionalista antimarxista-antirusso, Ivan Nikolaevic Franko (Inferno, ante 1916). Un’altra traduzione dell’Inferno fu prodotta nel 1956 dal traduttore Petro Karmanskij insieme con Maxim Rilskij, il maggior poeta ucraino del Novecento; poi la traduzione completa del poema da parte del poeta Evgen A. Drob’jazko (1968-1976), e ancora una traduzione dell’Inferno, in  terza rima, del fisico e letterato Maxim Strikha (2013).

Nelle lingue baltiche abbiamo quattro traduzioni della Commedia: in lettone quella di Jēkabs Māsens, in terzine (1921-1937) e quella di Valdis Bisenieks (1994); in lituano quelle di Jurgis Narjauskas (1968-1971) e di Aleksys Churginas (1968-1971).

In albanese, precisamente nella varietà settentrionale ghega, esiste una magistrale traduzione completa in terzine pubblicata nel 1960-1966 dal poeta e prosatore Pashko Gjeçi. Questa traduzione, a cui Pashko Gjeçi dedica in semi-clandestinità 22 anni della sua vita, in parte passati ai lavori forzati, dopo aver studiato da ragazzo al liceo italiano di Scutari ed essersi laureato all’Università di Roma negli anni dell’occupazione italiana (1939-1943), sintetizza mezzo secolo di rapporti dell’Italia con l’Albania.

In ungherese abbiamo una traduzione della Commedia per secolo: del letterato e politico Károly Szász, in terzine (1885-1899); del poeta Mihály Babits, pure in terzine (1913-1923); e del poeta Ferenc Baranyi (2012) in endecasillabi sciolti. In finlandese, traduzione del poeta Eino Leino (1980). In estone, altra lingua del gruppo ugro-finnico, traduzione del poeta Harald Rajamets (2011). In basco, traduzione in prosa di Aita Santi Onaindia (1985).

La prima traduzione della Commedia in ebraico è dello scrittore e medico triestino Saul Formiggini, che ne pubblica l’Inferno a Trieste nel 1869. La prima traduzione integrale è del folclorista polacco Immanuel Olsvanger, sionista, che emigra in Ereẓ Israel nel 1933 e la pubblica a Gerusalemme nel 1943. La terza è di Yoav Rinon, professore della Hebrew University di Gerusalemme, che pubblica l’Inferno a Tel Aviv nel 2013. Una libera traduzione dell’Inferno in yiddish venne realizzata nel 1932 dal lituano Shmuel Kokhav-Shtern.

Dati gli stretti rapporti di Malta con l’Italia, la Commedia è stata tradotta più volte in maltese (varietà di arabo con forti componenti lessicali siciliane e italiane): l’Inferno da Giovanni Sapiano Lanzon nel 1905 e da Erin Serracino Inglott nel 1964, l’intera Commedia, in terza rima, dal principale traduttore maltese Alfred  Palma nel 1991.

La prima traduzione araba completa della Commmedia viene pubblicata a Tripoli, sotto dominazione italiana, nel 1930-1933, opera dell’insegnante di lingua italiana Abbūd Abī Rashid’. È una versione molto approssimativa, come anche la versione del solo Inferno, anch’essa in prosa, pubblicata a Gerusalemme nel 1938 dal palestinese Amīn Abū Sha’ar, che per di più si fonda ampiamente, più che sul testo originale, sulla traduzione inglese di Henry Francis Cary (vedi sopra). Le due traduzioni di riferimento oggi sono quella in prosa dell’italianista egiziano Ḥasan ʿUthmān (1955-1969) e quella in versi dell’iracheno, docente a Parigi, Kāzim Jihād (2002). La prima, accompagnata da un ampio studio, vuole mettere il lettore arabo in condizione di capire i fondamentali del testo e del mondo da cui proviene, sottraendolo all’angusta problematica delle presunte fonti islamiche del viaggio oltremondano, lanciate dal filologo spagnolo Miguel Asín Palacios nel 1919, che aveva assorbito tutta l’attenzione nel mondo arabo negli anni Trenta, e presentando piuttosto un Dante con impronta politico-didascalica in linea con l’orientamento nasseriano. La seconda traduzione, invece, privilegia piuttosto gli aspetti formali, di linguaggio poetico. S’intende che i versi su Maometto seminatore di discordie sono censurati in entrambe le traduzioni.

In turco abbiamo la traduzione della Commedia in prosa del dantista Feridun Timur (1955-1956), in versi sciolti dello scrittore e giurista Rekin Teksoy (1998). In armeno occidentale le traduzioni del padre Arsenio Ghazikian (1902) e del padre Atanasio Tiroyan (1930), in armeno occidentale quella in terzine del filologo Arpun Dayan (1947). In georgiano, risalente all’epoca sovietica, la traduzione del letterato e politico Konstantin Gamsachurdia in collaborazione con il poeta Konstantin Čičinadze (1933-1941). In persiano, preparate da poemi e saggi di interesse mistico per il viaggio oltremondano, la traduzione dello scrittore Shojaeddin Shafa (1957) e quella in versi della poetessa Farideh Mahdavi-Damghani (2000). In kazako quella in terzine del poeta Mukagali Makatajev (1971). 

Nell’India parte dell’Impero britannico l’interesse per Dante comincia a diffondersi, sulla scia del rigoglioso dantismo inglese che abbiamo trattato sopra, presso poeti e studiosi nella seconda metà del XIX secolo: per esempio Dante e Milton influenzano le opere del poeta e drammaturgo  bengalese Michael Madhusudan Datta (1824-1873). Ma proprio l’abbondanza e qualità delle traduzioni inglesi, combinata con lo status dell’inglese come lingua ufficiale, previene totalmente l’esigenza di tradurre Dante nelle lingue locali, che emerge solo molto tempo dopo la conquista dell’indipendenza, in anni recentissimi. La prima traduzione in una lingua indiana è in una lingua dravidica, il malayalam, lingua nazionale dello stato del Kerala, parlata “solo” da 33 milioni di persone: il poeta Kilimanoor Ramakantan pubblica la sua traduzione in versi nel 2001. La seconda è in bengalese, lingua indoeuropea, che è, con i suoi 200 milioni di parlanti, la seconda lingua nazionale più diffusa nel paese, dopo l’hindi: il giornalista e romanziere Shyamalkumar Gangopadhyay pubblica la sua traduzione in terza rima nel 2011.

Una qualche idea di Dante, in assenza dei suoi testi nonché delle competenze necessarie per vagamente capirlo, data la separatezza dei rispettivi mondi culturali, arriva in Cina solo alla fine del XIX secolo. Per esempio, gli rende omaggio nel suo esilio giapponese (1898-1912) il poeta Liang Qichao facendolo entrare in scena, nel suo melodramma La nuova Roma, in sembianze taoiste, cavalcando una gru, a recitare un monologo sulla nuova identità che la Cina dovrebbe assumere in quella fase di profonda trasformazione. Per il centenario del 1921 il giovane poeta Qian Daosun, che anni prima aveva soggiornato in Italia al séguito del padre, propose una coraggiosa versione metrica dei primi tre canti dell’Inferno, basandosi sul lavoro del collega giapponese Yamakawa Heizaburo, che a sua volta si era basato sulla traduzione tedesca di Streckfuss e su quelle inglesi di Cary e di Longfellow. Con lo stesso metodo, basandosi su traduzioni ottocentesche francesi e inglesi, Wang Weike portò a termine la prima traduzione integrale della Commedia, in prosa, nel 1939. 

L’impulso di quei decenni, pur ingenuo e poco attrezzato, a conoscere Dante fu poi gelato dalla rivoluzione culturale: per il centenario del 1965 silenzio assoluto. La possibilità di guardare in quella direzione si riaprì alla fine degli anni Settanta, e così Zhu Weiji poté riprendere la traduzione dell’Inferno che aveva pubblicato nel 1954, completarla e pubblicare nel 1984 la prima traduzione completa della Commedia in versi: tradotta non dall’italiano ma dalle traduzioni inglesi di Cary, Carlyle e Longfellow. 

La prima versione tradotta dall’italiano è quella in prosa di Tian Dewang, professore dell’Università di Pechino che la intraprese nel 1982, all’età di 73 anni, dopo essere andato in pensione, e la portò a termine nel 1997, meritando di ricevere dal presidente Scalfaro l’Ordine al Merito della Repubblica italiana. Nel 2000 fu la volta della traduzione in versi di Huang Wenjie, e nel 2003 di quella del professore di Hongkong Huang Guobin (nome occidentale Laurence K. P. Wong): una versione prosodica che viene considerata di eccezionale qualità ritmica, con straordinarie soluzioni traduttive. Poi la versione del poeta Zhang Shuguang (2005), che però regredisce a basarsi su traduzioni inglesi; e ultimissima quella dell’italianista dell’Università di Pechino, premiato traduttore anche di altri classici italiani, Wang Jun (2021). Come si vede, nel nuovo secolo la Cina sta recuperando il tempo perduto.

Su questo sfondo storico, appare di eccezionale e sorprendente valore l’esistenza di una traduzione integrale e in versi, inedita, prodotta negli anni 1910-1920 (!) da un italiano (!). Si tratta del padre Agostino Biagi, O.F.M. (1882-1957). Missionario in Cina, poi tornato in Italia ed entrato in polemica con la Chiesa di Roma, diventato pastore evangelico, antifascista della prima ora, picchiato per le sue idee politiche filocomuniste, sorvegliato dalle questure fasciste di mezza Italia, quest’uomo ha prodotto tre versioni diverse della Commedia con tre metri cinesi diversi che attendono di essere studiate, ma di fronte alle quali i sinologi che ci hanno dato una prima occhiata si dicono colpiti dalla loro qualità. Questi quaderni, donati all’Accademia della Crusca, vengono progressivamente resi disponibili nel sito https://accademiadellacrusca.it/it/contenuti/la-commedia-in-cinese-in-rete-il-primo-quaderno-del-fondo-biagi/24627

La Commedia era arrivata prima in Giappone. Abbiamo già ricordato la traduzione in versi dell’intero poema compiuta nel 1914 da Yamakawa Heizaburo, professore di inglese nell’Università di Sendai, e appunto tradotta dall’inglese. La prima traduzione dall’italiano fu quella del pastore e teologo Masaki Nakayama, nel 1919; seguita a distanza da quella di Soichi Nogami, italianista delle Università di Kyoto e di Tokyo, nel 1962, e da quella di Sukehiro Hirakawa, esperto di relazioni interculturali, nel 1966.

Completano il quadro dell’Estremo Oriente le cinque (!) traduzioni coreane – I Sang-Ro (1959), Società di studi Pensiero e Cultura (1960), Choi Mun-Seon (1960), Chung Noh-Young (1993), Kim Wi-Gyeong (2002) – e la traduzione vietnamita dell’italianista dell’Università di Hanoi Nguyen Van Hoan (2006).

Non potevano mancare traduzioni della Commedia in esperanto. E infatti ce ne sono tre: dell’ungherese Kálmán Kalocsay (1933) e degli italiani Giovanni Peterlongo (1963) ed Enrico Dondi (2006).

 

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