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Stai zitta (e altre nove frasi che non vogliamo sentire piú)

Se siamo donne, di certe cose non possiamo occuparci, perché tanto non siamo in grado di capirle. Se una di noi occupa una posizione di prestigio, chissà cosa ha fatto per ottenerla. E comunque può scordarsi di guadagnare quanto il suo omologo maschio. Nei posti decisionali siamo assenti o quasi. Le poche volte che saliamo al potere facciamo notizia, altrimenti siamo un dato statistico. Nei contesti ufficiali, mentre gli uomini sono chiamati per nome e cognome, veniamo interpellate con il solo nome di battesimo, perché non siamo degne di autorevolezza. Se vogliamo figli, in azienda ci guardano storto. Se non vogliamo figli, abbiamo qualcosa di sbagliato. E se una di noi fa l’astrofisica, per prima cosa le chiederanno come riesca a conciliare il lavoro con la famiglia. Quando siamo arrabbiate perché abbiamo subito un torto, ci danno delle mestruate. Troppo magre? Siamo stressate. Abbiamo qualche chilo di troppo? Non ci prendiamo cura di noi stesse. Se ci battiamo per la parità di genere e ci dichiariamo femministe, siamo represse sessuali che odiano gli uomini. Se ci uccidono ce la siamo andata a cercare, perché lui ci amava troppo e noi l’abbiamo fatto ingelosire. La lingua che parliamo è l’esempio perfetto del perché siamo ancora distanti anni luce da un modo di pensare paritario tra i due sessi. E se dalle parole passiamo ai fatti, ci accorgiamo non solo che il nostro modo di pensare è impregnato di mascolinità tossica, ma che nella vita di ogni giorno ci comportiamo pure peggio


Michela Murgia è nata a Cabras nel 1972. Per Einaudi ha pubblicato nel 2008 Viaggio in Sardegna. Undici percorsi nell\’isola che non si vede, nel 2009 il romanzo Accabadora, vincitore del Premio Campiello 2010, nel 2011 Ave Mary, nel 2012 Presente (con Andrea Bajani, Paolo Nori e Giorgio Vasta) e  L’incontro, Chirù (2015),  Futuro interiore (2016) e Istruzioni per diventare fascisti (2018).

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