Pier Paolo Pasolini in altre lingue – Terza parte
Autore: Martine Van Geertruijden (University 'La Sapienza', Rome)
Il rapporto di Pasolini con la Francia è senz’altro uno dei più appassionati e duraturi. Per raccontare i suoi legami con gli intellettuali francesi, basterebbe ricordare, dopo la dibattutissima proiezione nel 1964 del Vangelo secondo Matteo, il suo dialogo con Sartre in un famoso appuntamento al Caffè du Pont Royal durante il quale l’autore della Nausée prese la sua difesa contro alcuni intellettuali di sinistra che lo contestavano. O la recensione di Foucault a Comizi d’amore su “Le Monde” nel 1977 o ancora il commento di Gilles Deleuze per il quale Empirismo eretico era uno dei testi filosofici più rilevanti del secondo Novecento italiano. Queste testimonianze rivelano però che il posto predominante che, anche nella ricezione francese, occupa, l’opera cinematografica.
Benché i romanzi siano stati tradotti molto presto, (Ragazzi di vita e Una vita violenta, nella traduzione di Michel Beitman, escono rispettivamente nel 1958 e nel 1961 presso la piccola casa editrice Buchet-Castel), è con la proiezione del Vangelo che lo scrittore si impone nel dibattito culturale francese. Dopo la traduzione del Sogno di una cosa da parte di Angélique Levi (primo titolo pubblicato da Gallimard, che sarà poi l’editore della maggior parte dei suoi libri), la vera popolarità arriva con l’uscita nelle sale di Théorème nel 1969, salutato da François Mauriac come un capolavoro. Il romanzo invece verrà tradotto solo dieci anni dopo da José Guidi (eppure Teorema, oltre ad essere uno dei libri di Pasolini più tradotti, viene pubblicato immediatamente dopo l’uscita del film al festival di Venezia nel 1968 e in seguito alle polemiche suscitate, non solo in Germania, in Brasile e in Giappone, ma anche in alcuni paesi, come la Danimarca, la Polonia e la Finlandia, che non non dedicheranno poi particolare attenzione al resto della sua produzione). Tutto queste iniziative editoriali, o quasi, sono legate al Pasolini cineasta e, malgrado i rapporti stretti con il mondo intellettuale francese (spesso mediati dall’amica Maria Antonietta Macciocchi), la vera scoperta del poeta, romanziere e polemista avviene dopo la sua morte, che suscitò in Francia un’emozione fortissima e numerosissimi echi nella stampa. Dal 1975 in poi le pubblicazioni francesi spesso seguono a ruota quelle italiane. Nel 1976 escono sia gli Écrits corsaires (trad. di Philippe Guilhon) che L’expérience hérétique (Empirismo eretico, trad. di Anna Rocchi Pullberg, che curerà anche Lettres luthériennes ma solo nel 2000); nel 1980 La divine mimesis (trad. di Danièle Sallenave), Le Père sauvage (trad. di José Guidi) et Dialogues en public, 1960-1965 (trad. di François Dupuigrenet-Desroussilles); nel 1983 Amado mio e nel 1984 Descriptions de descriptions et L’Odeur de l’Inde, entrambi tradotti da René de Ceccatty, autore anche della traduzione di Pétrole nel 1995 e di Histoires de la cité de Dieu nel 1998. Insieme a José Guidi per la poesia e a Jean-Paul Manganaro per le recenti ritraduzioni dei due principali romanzi, de Ceccatty si è di fatto imposto come la principale voce francese di Pasolini, proponendo e traducendo negli ultimi anni anche diversi volumi di poesie, da Adulte ? Jamais : una anhologie 1941-1953(2013), a La Persécution : une anthologie, 1954-1970 (2014), Poésie en forme de rose (2015) e La religion de mon temps (2020). Ha inoltre ulteriormente rafforzato la conoscenza della poliedricità pasoliniana sia con le sue traduzioni di due biografie italiane, quelle di Enzo Siciliano, Pasolini, biographie (1991), e di Nico Naldini, Pasolini: une vie (1996 ), e della Correspondance générale: 1940-1975 (1995); ma anche con il suo Pasolini, pubblicato nel 2005 poi ampliato e integrato, in occasione del centenario del 2022, di tutte le nuove informazioni emerse dalle varie inchieste intorno all’assassinio dello scrittore. Infine, è meritevole di una speciale menzione l’audacia dei traduttori dal friulano, Nathalie Castagné e Dominique Fernandez per Poèmes de jeunesse et quelques autres (1995) et Vigji Scandella per Poèmes oubliés (1996) et Dans le cœur d’un enfant (2000).
Anche i lettori tedeschi hanno oggi accesso a buona parte dell’opera pasoliniana, ma ancora una volta la cronologia delle traduzioni mostra una ricezione dai tratti assai peculiari. Colpisce innanzitutto, rispetto ad altri paesi, la data di pubblicazione di Ragazzi di vita, nella traduzione di Mosche Kahn: 1990, più di trent’anni dopo l’uscita in Italia. Tra l’altro è significativo il fatto che il romanzo esca solo nel 1992 anche in nederlandese (Jongens uit het leven , traduzione di Henny Vlot), mentre non mi risulta tradotto in nessuna lingua scandinava, dove la bibliografia pasoliniana è di fatto ancora scarsa e spesso limitata a qualche antologia poetica o saggistica. Solo nel caso della Svezia la bibliografia è più ricca, in particolare per quanto riguarda i testi di poesia e di teatro: già nel 1975 esce Gramscis aska (Le ceneri di Gramsci) tradotto da Arne Lundgren presso la piccola casa editrice René Coeckelberghs Bokförlag in una collana di poesia, “Tuppen på berget – Il gallo sulla montagna”, diretta da Artur Lundkvist che pubblicò quell’anno ben otto titoli, fra cui Borges, Éluard e Guillén. Nella collana Cartaditalia Bokserie, creata a Stoccolma da Paolo Grossi nel 2010, escono le traduzioni di Amado mio (Gustav Sjöberg, 2010) e di Pylades (Carl Henrik Svenstedt, 2012). Questa mancanza di interesse rispetto alle tematiche della prosa pasoliniana, ovvero la situazione di miseria economica e morale in cui si viveva ai margini dei centri urbani, icone del nascente consumismo, è significativa. Evidentemente questi temi sociali, politici ed estetici italiani erano lontani dal dibattito culturale di paesi in cui la morte della civiltà contadina era ormai un fatto scontato.
Per tornare alla Germania, a parte Vita violenta, tradotto da Gur Bland nel 1963, le uniche traduzioni di quel periodo sono quella del Sogno di una cosa, Der Traum von einer Sache, che non a caso esce nel 1968 nell’allora DDR (trad. di Hans Otto Dill) e verrà ripresa all’Ovest solo nel 1983. Più significativa ancora è l’uscita di Teorema oder Die nackten Füße (trad. di Heinz Riedt) nel 1969, segno che anche qua l’autore viene scoperto e apprezzato soprattutto come cineasta.
Le cose cambiano in Germania soprattutto per merito di un importante editore, Klaus Wagenbach che, nel 1978, ha con Pasolini un amore a prima vista: “Appena lessi gli Scritti corsari chiamai la Garzanti. Mi dissero che ero il sesto editore tedesco ad aver chiesto l’opzione sui diritti. Morale della favola: quando gli altri lessero quegli articoli, antiborghesi, anticattolici, anticomunisti, si ritirarono uno ad uno. E pubblicai quella meravigliosa testa pazza di Pasolini». La prima edizione (Freibeuterschriften, trad. di Thomas Eisenhardt) fu un successo clamoroso, questa volta la polemica contro il consumismo, l’idea della mutazione antropologica ecc. incontravano la sensibilità tedesca, soprattutto quella dei Verdi per i quali diventò una specie di Bibbia. Ma soprattutto, da lì in poi, Wagenbach e altri editori si impegnarono per ricuperare il ritardo, pubblicando prima la saggistica (1979 Ketzererfahrungen, trad. di Reimar Klein; 1983 Lutherbriefe, trad. di Agate Haag e Auswahl: Literatur und Leidenschaft, ovvero Passione e ideologia, che i tedeschi sono, per quanto ne sappia, gli unici ad aver tradotto), ma poi anche la poesia, con le Gramsci’s Asche, finalmente tradotto da Toni e Sabina Kienlechner nel1980, seguite due anni dopo da una antologia, Unter freiem Himmel, con brani tratti da tutte le raccolte e, nel 1989, Die Nachtigall der katholischen Kirche. (trad. di Toni e Bettina Kienlechner). Anche la prosa è ormai disponibile in tedesco con Barbarische Erinnerungen. La Divina Mimesis, nel 1983, Amado mio (1984 trad. di Maja Pflug), Ali mit den blauen Augen, (1990, trad. di Bettina Kienlechner e Hans Peter Glücker), Petrolio, (1994, trad. di Moshe Kahn) e Geschichten aus der Stadt Gottes (Storie della città di Dio, 1996, trad. di Annette Kopetzki). Come in Francia, sono disponibili anche la corrispondenza (1991, Briefe (1940-75), traduzione di Maja Pflug) e le biografie di Enzo Siciliano e Nico Naldini.
Questa rassegna ragionata si limita per ora ai continenti europeo e americano. In conclusione, appare evidente che in tutti i paesi, particolarmente in certi periodi, l’imbarazzo o lo scandalo, la peculiare religiosità e tutti i tratti caratteristici della figura di Pasolini (l’omosessualità, l’impegno civile e politico, l’irruenza polemica) hanno profondamento condizionato le modalità della sua diffusione e della sua ricezione all’estero. Entrambi questi aspetti andrebbero tra l’altro studiati distintamente, tenendo conto non solo dei titoli tradotti, ma anche delle case editrici che lo hanno pubblicato e dell’accoglienza che la stampa, da un lato, e la critica universitaria, dall’altro, hanno dedicato alle sue opere.
Un’ultima riflessione si impone oggi, alla luce delle innumerevoli manifestazioni organizzate per il centenario. Sembra ormai che, in molti paesi, ad attirare il pubblico verso l’opera pasoliniana sia, più che il cineasta, la sua figura di intellettuale che si interroga sui cambiamenti sociali, sul passato e sul presente e fornisce in qualche modo, cosa rara, una riflessione complessiva sulla cultura. Lo dimostrano anche le antologie tematiche, di prose e di versi, che escono un po’ ovunque, in cui sono privilegiati soprattutto il tema della mutazione antropologica e la critica di una società condizionato dallo sviluppo economico e dall’influenza dei mezzi di comunicazione di massa. Citerò, per concludere, quella spagnola, Manual corsario, che vuole tracciare un viaggio nell’immensa opera di Pasolini, alternando ai testi più significativi dell’autore brevi saggi biografici e interventi critici di specialisti.