Il libro italiano in Argentina
Autore: Alejandro Patat, Università per Stranieri di Siena

La presenza del libro italiano in Argentina è stata talmente significativa che ha determinato fortemente lo sviluppo della cultura locale. Nonostante gli stretti rapporti tra le due nazioni e sebbene ci sia un’ampia bibliografia che raccoglie molte delle questioni riguardanti i diversi processi di contatto culturale, al giorno d’oggi non abbiamo dati sufficienti per poter comprendere e analizzare la vasta storia dell’editoria italiana in Argentina. Per questa ragione e allo scopo di offrire una sintesi dei problemi in parte risolti dagli studi, bisogna innanzitutto partire da essi per definire quanto invece ci sia bisogno di nuove ed ulteriori indagini.
Va chiarito in primis che sia la presenza del libro italiano sia la storia dell’editoria non implicano solo la pubblicazione di volumi in lingua italiana nel paese sudamericano, ma anche la circolazione, la diffusione, la ricezione, la critica e la traduzione della letteratura italiana in Argentina. Perché, come appare evidente, non è possibile ricostruire le prime due questioni senza considerare il modo in cui la cultura della Penisola è stata accolta in Sudamerica.
Al di là delle grandi compilazioni che hanno dato un vasto quadro dell’imponente fenomeno migratorio italiano in Argentina, come Euroamericani (1987) e Storia dell’emigrazione italiana (2009), basta sfogliare il volume Los italianos en la historia de la cultura argentina di Dionisio Petriella (1979) o, nel caso specifico della letteratura, il repertorio curato da Trinidad Blanco de García (2008) per farsi un’idea del ruolo che la cultura italiana in generale ha avuto nel Paese.
Dall’incrocio di tutti questi materiali e, se mi si permette, dai risultati di studi compiuti da chi scrive queste linee (Patat, 2004, 2005) emergono due punti chiave nella storia delle relazioni tra le due culture.
La prima è quella che si propone di smontare il mito o luogo comune storiografico secondo cui l’Argentina è stata una nazione monoliticamente anglofila e francofila. La seconda è quella che esige un approccio metodologico che consideri la cultura italiana all’estero non come un’appendice mimetica della cultura d’origine, bensì come espressione autonoma e ricchissima di una cultura contaminata, ibridata e dialogica.
Il repertorio delle relazioni letterarie prima citato ha avuto il merito di compilare in un unico volume i vari modi in cui i due sistemi letterari sono entrati in contatto. E il risultato delle ricerche è davvero impressionante. Sintetizzando fortemente, si potrebbe dire che a partire dalla seconda metà dell’Ottocento furono le élite liberali, dal 1870 al 1930, a conoscere in profondità la cultura italiana (e, soprattutto, in lingua), mentre è stata l’intellighentzia argentina di classe media, frutto dell’integrazione sociale, in collaborazione con l’ultima ondata migratoria, a dominare la cultura italiana in traduzione o da tradurre dagli anni ‘30 fino ad oggi. Se i liberali imposero una visione classica e classicheggiante dell’Italia – secondo il paradigma europeo – furono le classi medie emergenti che cominciarono a prestare attenzione, soprattutto dagli anni ’50 in poi, alla saggistica, al teatro, alla poesia e alla narrativa italiana del Novecento.
Questa suddivisione schematica, nonostante tutti i rischi interpretativi che comporta, dimostrerebbe che la circolazione del libro italiano conobbe due modi ben distinti. Così, sappiamo che il periodo della ricostruzione nazionale in seguito all’indipendenza dalla Spagna, coincise con una appropriazione della cultura risorgimentale, concepita come speculare alle sorti tragiche della nazione appena nata. Nei primi anni argentini, quindi, ebbe luogo la diffusione di alcuni autori considerati precursori del discorso patriottico (Parini, Alfieri e Foscolo), discorso che collaborò all’affermazione dell’identità nazionale argentina.
Caso esemplare di questo primo periodo fu anche l’azione intellettuale di Pietro de Angelis, storico vicino alla corte napoletana, responsabile nientemeno che della creazione dell’archivio storico nazionale argentino. Questo atto fondazionale è stato per la prima volta letto e interpretato in modo incisivo più di quanto non fosse stato fatto in passato (Salvioni, 2003). Mi riferisco al fatto che l’archivio storico di una nazione moderna viene fondato secondo il paradigma concettuale e ideologico di un intellettuale cortigiano al servizio di Napoli e, quindi, sulla base di un’idea tutta partenopea di storia che rimarrà e rimane fortissima in Argentina. Non va dimenticato, inoltre, che in questo stesso periodo ha luogo l’impresa sudamericana di Garibaldi, che lascia segni indelebili nella costituzione stessa della nuova nazione.
Bisogna considerare, sempre nello stesso primo periodo, il ruolo straordinario che assunse la stampa italiana in tutto il Paese sudamericano a partire dal 1870 fino alla seconda guerra mondiale. Gli studi di Federica Bertagna mettono in evidenza come la produzione giornalistica italiana non sia mai stata concepita come rivendicazione monolinguistica e monoculturale: i giornali La Patria degli Italiani e Il Popolo d’Italia furono veri strumenti di mediazione politica, sociale, economica e culturale tra le due nazioni. Nelle loro pagine è possibile seguire le vicende d’Oltreoceano e anche le questioni fondamentali della nazione di accoglienza. Questo significa che il giornalismo italiano presente in Argentina non si sviluppò sulla base di una concezione autoreferenziale o semplicemente importatrice, bensì accolse nelle sue pagine le questioni che assillavano la nuova patria. Tutta da indagare quindi risulta la circolazione dei libri pubblicati in appendice sui giornali che non rispondevano solamente al gusto dei lettori italiani in Italia ma che cercavano di venire incontro alle esigenze dei suoi pari in Argentina. Le attuali ricerche di Nicola Fatighenti presso la Scuola di Dottorato dell’Università per Stranieri di Siena sono rivolte al modo in cui quei giornali riportarono notizie riguardanti la letteratura italiana e i dibattiti ad essa connessi.
Fu sempre in questo prolifico primo frangente che si sviluppò un’editoria italiana, nata molte volte da investimenti imprenditoriali d’Oltreoceano nel Paese sudamericano. Basti come esempio la pubblicazione verso la fine dell’Ottocento di alcuni romanzi di appendice presso la casa editrice Bietti, che recavano sulla copertina la dicitura “Bietti – Buenos Aires/Milano”. I lavori di Marco De Cristofaro (2024, 2025), giovane ricercatore attivo in Belgio, stanno portando alla luce molte di queste interrelazioni, come, per esempio, i progetti editoriali di Angelo Sommaruga o alcune questioni chiave come il concetto di latinità, che agì da oggetto di discussione inter-identitaria tra le due nazioni.
Riguardo il secondo grande periodo, possediamo una ricostruzione della circolazione della letteratura italiana nel Paese (Patat 2005) e conosciamo nei dettagli uno dei progetti editoriali più importanti del Secondo Novecento. Il volume Abril. Da Perón a Videla. Un editore italiano in Argentina, bellissimo saggio storico di Eugenia Scarzanella, ci consente di comprendere uno dei tasselli dello straordinario mosaico di azioni e imprese compiute dagli ebrei italiani fuggiti in Argentina in seguito alle leggi razziali del 1938. Abril, fondata da Cesare Civita nel 1941 e da lui diretta e poi venduta per motivi politici nel 1976, non fu solo una casa editrice moderna, attenta alla letteratura infantile e femminista, produttrice di innumerevoli riviste d’attualità e fumetti (nota la collaborazione di Hugo Pratt), fu piuttosto il luogo che permise di concentrare le forze di un gruppo vastissimo di intellettuali ebrei, provenienti dall’alta borghesia italiana, come Paolo Terni, Leone Amati, Gino Germani, ma anche luogo di formazione di una classe intellettuale femminile, come nel caso di Marisa Segre Montefiore, Paola Ravenna, Nora Smolensky che si radicarono nel Paese fornendo un’impostazione culturale d’avanzata: “Per un giornalista dire ‘io lavoro alla Editorial Abril’ era come dire oggi lavoro al New York Times” (Scarzanella, 2013, p. 138).
La storia di Abril dovrebbe essere il punto di partenza delle prossime ricerche sulla sorte del libro e dell’editoria italiana in Argentina. Cioè, dovrebbe indicare un percorso che metta in risalto il frutto di un’interazione e collaborazione culturale italo-argentina a partire da una visione bilingue e biculturale.
Riferimenti
Federica Bertagna, La stampa italiana in Argentina, Donzelli, Roma, 2003.
Marco De Cristofaro, The Latinity of the Sister Nations at the Dawn of Modern Publishing: Editorial Initiatives and Intellectual Exchange Between Italy and Argentina (1870-1910), in “Romance Quarterly”, 1-16, 2024.
Marco De cristofaro, L’editore dei due mondi. Angelo Sommaruga e «La patria italiana» in Argentina, in Con altri occhi. La letteratura italiana fuori d’Italia 1861-1900, a cura di Marco De Cristofaro, Elisa Martínez Garrido, Roberto Ubbidiente, Pacini, Pisa, 2025.
Euroamericani. La popolazione di origine italiana negli Stati Uniti, in Argentina e in Brasile, Fondazione Agnelli, Torino, 1987.
Alejandro Patat, L’italiano in Argentina, Guerra, Perugia, 2004.
Alejandro Patat, Un destino sudamericano. La letteratura italiana in Argentina 1910-1970, GUerra, Perugia, 2005.
Dionisio Petriella, Los italianos en la historia de la cultura argentina, Asociación Dante Alighieri, Buenos Aires, 1979.
Repertorio bibliográfico de las relaciones entre la literatura argentina e italiana, edición de Trinidad Blanco de García, Ediciones del Copista, Córdoba, 2008.
Amanda Salvioni, Pietro De Angelis e l’archivio del dittatore, in L’invenzione di un medioevo americano, Diabasis, Reggio Emilia, 2003.
Eugenia Scarzanella, Abril. Da Perón a Videla. Un editore italiano in Argentina, Nuova Delphi, Roma, 2013.
Storia dell’emigrazione italiana, a cura di Pietro Bevilacqua, Andreina De Clementi, Emilio Franzina, 2 vol., Donzelli, Roma, 2009l
