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13 Dicembre 2021

Tecnica e malinconia. Vasco Graça Moura traduttore di Dante

Autore:
Clelia Bettini, Istituto Italiano di Cultura di Lisbona

Chi si fosse voltato indietro alle soglie del terzo millennio, avrebbe finito per pensare che, in Portogallo, Dante Alighieri non avesse incontrato l’interesse di umanisti, poeti e letterati. Poche traduzioni e poco riuscite della Commedia, fatta eccezione forse per quella portata a termine da tre poeti come Fernanda Botelho, Sophia de Mello Breyner Andresen e Armindo Rodrigues, a metà degli anni Sessanta del Novecento: una condizione che si presentava come il riflesso di una difficile penetrazione dell’opera di Dante nella cultura lusitana, diametralmente opposta alla fortuna di cui ha goduto, sin dal Quattrocento, quella di Petrarca. Spesso accade però che le grandi opere dalla letteratura mondiale per essere conosciute in traduzione, restino in attesa di quello che i greci chiamavano kairòs, ovvero “il momento opportuno”, che deriva da un favorevole incontro simultaneo di diverse variabili, propiziato da un dio che porta quel nome. Nel caso della Commedia era necessario, in primo luogo, che colui che volesse cimentarsi nella sua traduzione in lingua portoghese fosse dotato di quella peculiare sensibilità musicale che aggrega ritmo, fonetica e semantica, caratteristica che si riscontra senza dubbio principalmente nei poeti. Tuttavia, avrebbe dovuto trattarsi di un poeta di straordinaria cultura, in grado di comprendere la difficile tessitura del poema dantesco, intriso di una quantità di rimandi alle più diverse discipline dello scibile umano che sono soliti far tremare i polsi ai giovani studenti che si avventurano per la prima volta nella Selva Oscura, così come al più esperto dantista, quando inevitabilmente si arena davanti a un passo altrettanto oscuro. Perché si desse il kairòs, inoltre, questo poeta avrebbe dovuto conoscere molte lingue e avere una pratica traduttiva più che consolidata, in modo da poter portare a termine un compito così arduo. L’edizione Bertrand del 1995 delle tre cantiche, in unico elegante volume bilingue, è la prova del fatto che il “momento opportuno” è arrivato anche per la traduzione in lingua portoghese del grande poema di Dante, per mano di Vasco Graça Moura (1942-2014).

Vasco Graça Moura [VGM] è stato poeta, romanziere, saggista e traduttore, ma anche giurista e uomo politico, attività che ha svolto con identica intensità e rigore durante tutta la sua vita. È unanimemente riconosciuto tra i poeti e le poetesse più importanti del Novecento portoghese, con una traiettoria unica che l’ha visto partire da giovanili posizioni neosurrealiste per arrivare a raggiungere un linguaggio poetico proprio, fortemente intriso di quelle forme metrico-stilistiche antiche di cui è stato profondo esegeta e conoscitore, vero homo europaeus di ascendenza rinascimentale. Fra i suoi principali contribuiti critici è doveroso ricordare i saggi dedicati a Luís Vaz de Camões [Luís de Camões: Alguns Desafios (1980); Camões e a Divina Proporção (1985) Os Penhascos e a Serpente (1987)], forieri di nuove importanti prospettive sull’opera del più importante autore del Cinquecento portoghese. Ha tradotto il corpus integrale dei Sonetti di Shakespeare, le Elegie di Duino e i Sonetti a Orfeo di Rilke, e ancora Molière, Racine, Corneille e François Villon e Garcia Lorca, senza dimenticare La Vita Nuova di Dante, pubblicata lo stesso anno della Commedia e, in seguito, i Trionfi e le Rime di Petrarca. Per le sue traduzioni dantesche ha ricevuto nel 1995 il Prémio Pessoa (il più importante riconoscimento per meriti culturali attribuito in Portogallo) e nel 1998 la Medaglia d’Oro del Comune di Firenze. 

Con Roman Jakobson, si potrebbe dire che il nucleo da cui si è sviluppata la misura esatta della traduzione di VGM della Commedia risiede essenzialmente nell’averne colto la dominante, ovvero «the focusing component of a work of art: it rules, determines, and transforms the remaining components». E per Jakobson, la dominante ha il ruolo centrale di garantire l’integrità dell’intera struttura dell’opera d’arte che, nel caso della monumentale opera di Dante, rischia di franare miseramente quando messa nelle mani di un traduttore che non sappia coglierla. Ci riferiamo alla forma poetica della Commedia, ovvero a quell’insieme che è costituito dal suo tessuto fonico, dal ritmo variabile del suo andamento, scandito da terza rima che accompagna il lettore per le tre lunghe tappe del viaggio ultramondano del poeta fiorentino. VGM riesce a traslare con straordinaria maestria, frutto di una tecnica stupefacente acquisita attraverso la pratica costante della poesia, con la complicità della sua profonda conoscenza non solo delle principali lingue romanze, ma anche del latino da cui il volgare di Dante, così come il portoghese di Camões, procedono direttamente. Come spiega lui stesso nel saggio introduttivo che precede la traduzione della Commedia, ha ingaggiato «una lotta corpo a corpo» con due temibili avversari: la lingua “d’accoglienza”, come definisce il portoghese, e la lingua di Dante, «specifica configurazione e concrezione letteraria del testo sui cui si opera», che include un fitto tessuto «di discipline, di fonti, d’informazioni diverse» la cui conoscenza è necessaria per portarne a termine l’interpretazione, per entrare «nelle vene del discorso da tradurre». Attraverso il risultato a cui giunge, al termine di questo faticoso combattimento, VGM mostra di aver percepito quel legame musaico di cui Dante stesso parla nel Convivio, la dominante di quest’opera mondo, fondante per la cultura italiana e la cultura occidentale in generale, che è la Commedia. E questa comprensione è possibile solo a quelle anime “saturnine” che le Muse amano visitare, quella schiera di poeti e poetesse a cui VGM senz’ombra di dubbio appartiene, e grazie alle quali la bellezza integra di quel legame continua ad essere scoperta e amata, nelle sue infinte successive trasformazioni, da sempre nuovi lettori e nuove lettrici. Perché […]a palavra poética /ao fim de tudo, é uma /questão de técnica /e de melancolia.

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