Il libro italiano in Brasile
Parte seconda
Autore: Patricia Peterle, Universidade Federal de Santa Catarina
Per avere un’idea più chiara della presenza del libro italiano in Brasile sarà utile osservare il seguente grafico, che conferma un notevole e continuo aumento di questi flussi a partire da una prospettiva cronologica:
Questo grafico ha la sua fonte nel Dicionário Bibliográfico da Literatura Italiana Traduzida no Brasil, un progetto in rete iniziato nel 2010, il cui obiettivo è disegnare una mappatura di tutte le opere della letteratura italiana tradotta in Brasile. Se da un lato esso si propone di incentivare e facilitare le ricerche che riguardano la letteratura italiana tradotta, dall’altro, la riunione di tutti questi dati in un’unica piattaforma aiuta a capire meglio le dinamiche in atto. Lo sforzo di tutto il gruppo di professori e ricercatori coinvolti è appunto rivolto a riunire tutte le informazioni sparse per poterle trasformare in dati sensibili e sistematizzati. Questo progetto coordinato dall’Universidade Federal de Santa Catarina in collaborazione con altri atenei brasiliani è senz’altro una risorsa molto importante per tutti coloro che abbiano un qualche interesse (o anche una semplice curiosità) nello studiare la presenza della letteratura italiana nel mondo editoriale brasiliano.
Come si evince dal grafico, l’interesse per il libro italiano è continuo e in costante crescita. Se nel 1901 sono state rintracciate tre traduzioni, di cui due riguardanti Silvio Pellico (sempre Le mie prigioni) e una del romanzo Il fuoco di Gabriele d’Annunzio, più di un secolo dopo, cioè nel 2011, si contano in un unico anno più di quarantasette traduzioni, che coprono un arco molto ampio di generi letterari e scelte editoriali. Si va infatti da Emilio Salgari a Giorgio Caproni, da Dante (sempre riproposto) a Roberto Saviano, da Italo Calvino a Niccolò Ammaniti, da Andrea Camilleri ad Alessandro Baricco, da Luigi Pirandello a Edmondo De Amicis, da Elio Vittorini a Gianni Rodari, solo per citare alcuni dei nomi di un elenco che inizia ad essere sempre più lungo e variegato.
Tornando al grafico e guardandolo con più attenzione, ci si rende conto che tra gli anni ’30 e ’40 non è riconoscibile una vera e propria crescita, quanto un mantenimento del numero di opere tradotte, che poi già nel decennio successivo subisce un forte aumento. Quest’osservazione è stata resa possibile solo grazie al trattamento ed alla sistematizzazione dei dati del Dicionário.
Cos’altro si può osservare a proposito di questi anni? Certamente occorre scavare nel contesto di ricezione, perché la storia della traduzione non è, come sappiamo, isolata dal concorso di molteplici tensioni politiche e culturali. Infatti, questo è un periodo molto particolare della storia brasiliana. Tra il 1930 e il 1945, per quindici anni consecutivi, il Brasile ha come capo di stato Getúlio Vargas, che istituisce una vera “Campagna di nazionalizzazione” durante quello che poi è stato chiamato Estado Novo. Tale campagna aveva lo scopo di valorizzare la cultura brasiliana e il patriottismo, e tante iniziative vengono avviate proprio con questo obiettivo. Per quel che concerne l’uso delle lingue straniere in particolare, si possono ricordare la proibizione del loro insegnamento e l’adozione nel 1939 (stesso periodo delle leggi razziali in Italia) di misure ancora più drastiche, quali la proibizione del loro stesso uso in pubblico. Nel 1942, con l’entrata in guerra del Brasile, la repressione divenne ancor più violenta, a tal punto che chi non parlava portoghese rischiava di finire in galera. La memoria stessa degli immigrati veniva ad essere minacciata e indebolita. Non è allora una coincidenza che appunto in quest’atmosfera dei primi anni ’30 arrivi un’opera come Inno a Roma di Giovanni Pascoli, scritto in latino, e pubblicato per la prima volta nel 1911 al concorso nazionale per il Natale di Roma nel cinquantenario del Regno d’Italia. Si tratta, tra l’altro, del primo e unico testo di Pascoli tradotto in Brasile fino a poco tempo fa, perché solo nel 2015 è stata tradotta un’altra sua opera, Il fanciullino. Può sembrare strano, ma le traduzioni sono parte della più ampia storia culturale, la quale non manca di influire sulle stesse scelte editoriali. L’esaltazione della figura storica e mitologica che è al centro degli esametri pascoliani è l’elemento catalizzatore che ha attratto lo sguardo del traduttore Aloysio de Castro, medico professore, poeta e direttore dell’Instituto Ítalo-Brasileiro de Alta Cultura, che nel 1935 ribadisce la gloria di Roma e auspica “la completa vittoria dell’Italia e la conseguente vittoria della civilizzazione”. Insomma, il primo contatto che il lettore brasiliano ha con i testi di Pascoli è per forza lacunoso e segnato da quelle inevitabili inflessioni che il peso del contesto culturale porta con sé.
È ancora a metà degli anni ’30 che arriva in Brasile Giuseppe Ungaretti, chiamato a insediarsi sulla prima cattedra di italianistica all’Universidade de São Paulo. Dal 1937 al 1942, Ungaretti si dedica all’insegnamento della letteratura italiana rivisitando da una terra straniera e straniata autori della tradizione, quali Iacopone da Todi, Petrarca, Dante, Leopardi, Vico. Contemporaneamente, egli viene meglio precisando i temi che segneranno la sua poesia: l’innocenza, la memoria, l’assenza. In occasione del suo rientro in Italia, Ungaretti farà un lavoro importante di divulgazione della poesia brasiliana, scrivendo prefazioni a varie traduzioni, come per esempio Siciliana di Murilo Mendes. Non sarà inutile osservare però che le traduzioni brasiliane delle poesie di Ungaretti in volume arrivano veramente tardi, solo negli anni 2000. Stordimento e spaesamento sono forse due parole che potrebbero descrivere l’esperienza ungarettiana del Brasile, sentimenti che si leggono nei versi di Monologhetto, in Un Grido e altri paesaggi (1952), in cui il poeta ricorda il suo arrivo a Recife, a bordo della nave Neptunia partita dal porto di Genova. A metà degli anni ’40, dopo Vargas e in un momento di più libertà, arriva in Brasile Ruggero Jacobbi, come direttore della Compagnia di teatro di Diana Torrieri. Jacobbi sarà una figura fondamentale per la storia del teatro brasiliano, dove rimase fino al 1960. Al suo rientro non abbandona l’esperienza di questi quattordici anni che l’hanno tanto segnato; non solo si impegna nella traduzione di vari poeti, ma insegnerà letteratura brasiliana all’università di Roma.
Tra la dittatura di Vargas e quella militare tra 1964 e 1985, c’è un gruppo di poeti che agita la scena culturale. Sono anni infatti di grande effervescenza, con la fondazione del Museu de Arte de São Paulo (alla quale hanno contribuito Pietro Maria Bardi e Lina Bo Bardi), che risale alla fine degli anni ’40, e la costruzione di Brasilia, la “capitale del futuro” inaugurata nel 1960 da Juscelino Kubitschek (con lo slogan 50 anni in 5), per citare solo due avvenimenti di portata diversa ma ugualmente rilevanti. Il gruppo noigandres ha come protagonisti Haroldo de Campos, Augusto de Campos e Décio Pignatari e si organizza attorno alla rivista omonima, il cui programma aveva come obiettivo un profondo rinnovamento del linguaggio letterario e artistico. Il termine noigandres, citato da Pound nei suoi Cantos, preso a sua volta da un testo di Arnaut Daniel, viene assunto dal gruppo brasiliano nel significato di poesia in progress, sperimentazione, nuovo modo di concepire i valori poetici, in sintonia con una riscoperta e una rilettura della tradizione (Cavalcanti, il Dante delle Rime Petrose, Hopkins, Joyce, Pound). Umberto Eco ha tra l’altro definito Haroldo de Campos come il più grande traduttore contemporaneo. Si possono infatti ricordare le sue traduzioni di Dante (Rime Petrose e i canti I, II, XIV, XXIII, XXI, XXXIII del Paradiso) e di altri poeti del Dolce Stil Novo, che poi vengono pure citati nei famosi e vari Manifesti pubblicati dallo stesso gruppo. C’è da dire che, nel caso di Haroldo de Campos, il contatto con l’opera di Dante investe la sua stessa produzione poetica, tanto che il “divin poeta” diviene uno dei suoi veri e propri compagni di viaggio nella scrittura creativa. Questo rapporto con Dante investe sia la ricerca formale, quale si esprime, ad esempio, nel recupero della terza rima in un’opera come A máquina do mundo, sia l’adozione della tematica del viaggio, come in Signantia quasi coelum, in cui si parte dal paradiso per arrivare all’inferno. Ma la galassia poetica e intellettuale di Haroldo de Campos, che è a tutti gli effetti uno dei più grandi esponenti del secondo Novecento brasiliano, mette in evidenza come la pratica traduttoria e la riflessione su di essa possano alimentare, soprattutto, la pratica creativa e la scrittura in proprio. Rifacendosi ad alcune idee degli scrittori brasiliani degli anni ’20, l’antropofagia di Oswald de Andrade in primis, la sua proposta è quella della “transcreazione”, cioè un’operazione critica e traduttoria il cui obiettivo è quello di essere la più fedele possibile all’invenzione e non al significato letterale, anche infrangendo i limiti di una visione storicistica. E sarà appunto con questo sguardo “anacronistico” che Campos vedrà in Leopardi un teorico delle avanguardie, leggerà il Paradiso di Dante in dialogo con Mallarmé, riprenderà in un modo del tutto originale i testi del Dolce Stil Novo, in particolare di una delle canzoni più famose di Cavalcanti.
Quello che dunque si nota nella storia del libro italiano in Brasile è l’esistenza di una fitta rete di dialoghi e di intersezioni. Ovviamente alcuni autori godono di un’attenzione privilegiata come è il caso di Umberto Eco e Italo Calvino, i cui romanzi e saggi sono stati praticamente tutti tradotti. Ma come si sa, questo non è solo un fenomeno brasiliano. Altri invece, come è il caso di Cesare Pavese e Leonardo Sciascia, hanno suscitato molto interesse negli anni ’80. Per Pavese si può anche dire che c’è stata un’ulteriore ondata d’interesse da parte delle case editrici al compimento del settantesimo anniversario della sua morte. L’editoria brasiliana è inoltre cresciuta negli ultimi anni, anche grazie all’esplosione di piccole case editrici. L’immagine che viene fuori è quella di un grande mosaico – certamente con delle lacune – che guarda sia ai classici (per ovvi motivi) sia alla letteratura contemporanea. Infatti, oltre al fenomeno mondiale Elena Ferrante, sono state tradotti negli ultimi anni autori contemporanei come Viola Ardone, Maria Grazia Calandrone, Donatella Di Pietrantonio, Antonio Scurati, Igiaba Scego, Roberto Calasso, Alessandro Piperno, Alessandro Baricco, Antonio Tabucchi, Michele Mari e via via fino ad arrivare alla poesia, con i nomi di Pier Paolo Pasolini, Valerio Magrelli, Enrico Testa, Eugenio De Signoribus, Fabio Pusterla, Patrizia Cavalli e Patrizia Valduga. In tal senso il ruolo degli unici due Istituti Italiani di Cultura in tutto il territorio brasiliano (São Paulo e Rio de Janeiro) è fondamentale per incentivare questa circolazione e per favorire, attraverso la collaborazione con le università ed altri enti locali, la promozione e la diffusione del libro italiano. Altrettanto importante è il ruolo dei traduttori, alcuni dei quali per sforzo e tempra sono dei veri mediatori della letteratura italiana in Brasile.