Il libro italiano in Brasile
Parte prima
Autore: Patricia Peterle, Universidade Federal de Santa Catarina
Pensare al panorama della letteratura italiana tradotta in Brasile ci può riportare a tanti altri punti di contatto che segnano buona parte della storia culturale del paese d’oltreoceano. Basti ricordare il nome di Amerigo Vespucci, nella famosa spedizione del 1499, che poi approdò a Bahia; la fortuna di Metastasio e gli intensi rapporti facilmente identificabili negli arcadi di Minas Gerais come ha sottolineato Sérgio Buarque de Holanda; le ondate migratorie; il nome dell’imperatrice Teresa Cristina di Borbone, a cui Aniello Angelo Avella ha dedicato importanti studi; per non parlare di tutti gli architetti, scultori, pittori, musicisti, cantanti e scrittori che sono passati, in particolare, per Rio de Janeiro e São Paulo.
Un fatto però di fondamentale importanza per capire la formazione del mercato editoriale dell’ancora colonia portoghese è l’arrivo, nel 1808, di Dom João VI e della sua corte a Rio de Janeiro. Infatti, fino al 1808 era proibito stampare qualsiasi tipo di materiale nel Brasile colonia. Uno scenario così già ci segnala delle grosse limitazioni per le pubblicazioni scritte in Brasile e ancor di più per quel che concerne la traduzione, insomma per tutto ciò che si riferisce alla circolazione di libri.
Se nel 1801 Rio de Janeiro contava con solo due librerie e nessuna tipografia, nel 1890 già si registra una crescita culturale enorme come si vede da questi numeri: 45 librerie e 67 tipografie. L’avvio di quello che potrà essere chiamato mercato editoriale, comunque, avviene solo col trasferimento della corte a causa delle campagne napoleoniche, e, di conseguenza, con l’inaugurazione dell’Imprensa Régia, la prima tipografia dedita alla stampa di libri, giornali e altri documenti. Non è un caso allora che la maggior parte dei libri in un primo momento arrivi dal Portogallo o dalla Francia, tanto da potersi dire senza ombra di dubbio che la letteratura italiana arriva attraverso la mediazione dei canali francesi. Fin dal suo inizio il sistema culturale brasiliano, nella sua formazione, guarda in modo particolarmente attento all’ambiente culturale francese.
Con l’indipendenza brasiliana nel 1822, inizia il periodo di formazione di un’identità nazionale e ciò significa anche una volontà espressa di indipendenza dal punto di vista culturale. Tale sensazione viene ribadita e ancora rivendicata nel primo centenario dell’indipendenza, quando si organizza a São Paulo la così detta Semana de Arte Moderna, nel 1922. Mário de Andrade, Oswald de Andrade, Tarsila do Amaral erano alcuni dei giovani scrittori e artisti che portavano avanti delle idee che potevano sembrare curiose, strampalate e allo stesso tempo innovative. Autori che senz’altro avevano letto Dante, Marinetti, Palazzeschi, e influenzati dalle avanguardie difendevano la libertà creativa e in questi primi anni ’20 manifestavano l’esigenza di ripensare e di ristrutturare i rapporti culturali. Infatti, Oswald e altri intellettuali brasiliani fanno del cannibalismo una metafora per parlare del rapporto fra culture. Il Novecento brasiliano si apre quindi con questa urgenza di divorare e digerire l’arte, la lingua degli europei per trovare la propria identità: la via dell’antropofagia, insomma.
Seppur il flusso traduttorio aumenti in modo considerevole nel corso del Novecento, è possibile rintracciare le prime traduzioni nella seconda metà dell’Ottocento. Le mie prigioni di Silvio Pellico, pubblicato nel 1832, è un libro per esempio che un secolo dopo verrà letto e sarà un riferimento centrale, insieme ai Quaderni di Gramsci, per lo scrittore brasiliano Graciliano Ramos, nel suo Memórias do Cárcere (1953). Ramos, tra l’altro, è stato tradotto in Italia da Edoardo Bizzarri, primo direttore dell’“Instituto Cultural Ítalo-Brasileiro”, che arrivò a São Paulo nel 1951. Bizzarri è una di quelle vite in transito tra le due culture che tanto hanno segnato il Novecento, arrivando a portare in Italia anche altri autori brasiliani del calibro di João Guimarães Rosa e Cecília Meireles.
Tra le prime traduzioni che circolano in Brasile, c’è anche un piccolo gioiello, il Ramalhete poético do Parnaso Italiano, uscito nel 1843. Si tratta di un regalo di nozze per l’imperatore Dom Pedro II e Teresa Cristina di Borbone, curato e tradotto da Vincenzo De Simoni, medico italiano radicato in Brasile dal 1817, che dai critici è considerato il primo traduttore di Dante in lingua portoghese, con alcuni canti inseriti in quest’antologia. De Simoni è stata forse la prima grande figura di mediazione culturale, proprio perché nel Ramalhete poético presenta un certo canone della poesia italiana: Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Metastasio, Alfieri e Monti, seguito da altri brani che offrono anche una visione politica mediata da testi scelti di Pindemonte, Foscolo e Manzoni (autore che sarà poi tradotto dallo stesso Dom Pedro II).
La figura di Dante come succede spesso anche ad altre latitudini è comunque dominante. L’immaginario della Commedia ha in effetti esercitato e continua ad esercitare un’attrazione in alcuni lettori. Infatti, quel “legame musaico” spezzato dal passaggio poroso tra le lingue è forse proprio quel quid che attira e sfida i traduttori della Commedia. Uno spartito che dev’essere continuamente rifatto perché una nuova variazione esige sempre una nuova riscrittura. Si potrebbero ricordare alcuni che hanno accettato questa sfida, a cominciare da Gonçalves Dias, scrittore del romanticismo brasiliano, tradotto poi in Italia da Ungaretti, che propone nel 1844 la sua versione di una parte del VI canto del Purgatorio. Il grande prosatore brasiliano dell’Ottocento, Machado de Assis, nel 1874 mette poi il suo portoghese alla prova nella traduzione del canto XXV dell’Inferno. Ma vanno ricordati anche Henriqueta Lisboa, già nel Novecento, poetessa che traduce, ma senza pubblicarli in volume, alcuni testi di Dante, Leopardi, Ungaretti e Pavese. O a metà degli anni ’50, il poeta Dante Milano che pubblica la traduzione di tre canti (V, XXV, XXXIII) dell’Inferno, o ancora i fratelli Augusto e Haroldo de Campos. La versione fatta nel corso degli anni ’70 da Cristiano Martins, che si è dedicato alle tre cantiche, è comunque considerata tuttora la più poetica, e antecede il lavoro di dodici anni dopo di Italo Eugenio Mauro, che pubblica la sua Commedia nel 2007. Più recentemente, tre professori universitari, Maurício Santana Dias, Pedro Heise e Emanuel Brito, hanno riproposto un nuovo progetto traduttorio, e nel 2021 è stato pubblicato il volume dell’Inferno.
Questi sono solo alcuni punti di contatti di un lungo rapportarsi tra i due sistemi letterari dei tanti che si potrebbero prendere in considerazione.
Secondo l’Index Translationum – forse i dati non sono del tutto aggiornati, ma comunque ci permettono di avere un’idea a rispetto –, il mercato brasiliano conta con 50229 traduzioni pubblicate (non solo quelle letterarie), di cui 2011 dall’italiano, 5764 dal francese e 3161 dal tedesco. La maggior parte delle traduzioni sono ovviamente quelle dall’inglese, 34047.