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5 Giugno 2023

Intervista a Francis Catalano, poeta e traduttore dall’italiano verso il francese

Autore:
Gianni Pillonca, ex-direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Montréal

Il traduttore di Valerio Magrelli in Québec è un poeta canadese di lingua francese, Francis Catalano. Catalano ha curato la traduzione di due raccolte: Le vase brisé e Instructions pour la lecture d’un journal, che ha ottenuto il Prix John Glassco 2006 dell’ATTLC (Association des traducteurs et traductrices littéraires du Canada). Catalano ha pubblicato otto raccolte di poesia, dalla sua prima, Romamor del 1999, a Climax (2022, Prix d’excellence poésie La Métropole, 2023). Le sue poesie sono apparse in traduzione inglese, in spagnolo e in italiano. Nel 2020 ha pubblicato una raccolta di racconti, Qu’il fasse ce temps, e nel 2021 L’origine du futur. Ha inoltre curato antologie di poesia italiane e tradotto poesie di Luzi, Sanguineti, Zanzotto e Porta. Al momento è impegnato nella traduzione di Exfanzia di Magrelli.

 

Che rapporto c’è tra la tua poesia e i versi che traduci. Sono due compartimenti stagni o c’è interazione?

Ho sempre in mente l’avvertimento di Novalis, secondo il quale bisogna essere poeti per tradurre la poesia. C’è una simbiosi tra le due attività. Anche la traduzione è una creazione. C’è un aspetto creativo nella traduzione. Quando si fa poesia si traduce qualcosa che è in una lingua che non si conosce, o che non si conosce ancora. Nella traduzione si parte da una lingua che si conosce e si tratta di una materia che è già organizzata.

 

Che collaborazione si instaura tra te e il poeta che stai traducendo, in questo caso Magrelli?

Ho la fortuna di lavorare con un poeta che è anche traduttore e conosce quindi bene le difficoltà e i problemi che un traduttore incontra. Gli piace molto leggere le versioni, dare uno sguardo per verificare se ci sono errori. È molto sensibile alla resa di rima e ritmo. E a me sta bene, perché anch’io sono molto sensibile alla sonorità del verso. 

 

Magrelli è poi un poeta che conosce molto bene la lingua francese, essendo un professore di letteratura francese… Una bella sfida per il traduttore ma anche un’occasione unica.

Devo anche aggiungere che si tratta di un compito doppio perché si tratta di una traduzione fatta in collaborazione con Antonella D’Agostino, anche lei traduttrice. E anche questo offre un’altra piacevole occasione di discussione e di approfondimento.

 

Come lavorate?

Ci si divide il libro in parti uguali e poi ciascuno rivede le versioni dell’altro/a. Ed è incredibile l’unità e la sintonia tra noi nella resa dei versi. Non era così all’inizio, quando io traducevo tutto il libro e lei controllava le versioni. Si trattava di una revisione. Ora siamo giunti a questa nuova collaborazione che è molto proficua e soddisfacente per entrambi.

 

Nella tua poesia sono importanti le origini. L’ultimo tuo libro in prosa è intitolato L’origine du futur. Dimmi qualcosa sulle tue origini, italiane per parte di padre e quebecchesi dal lato materno.

Hanno una centralità nel mio lavoro. In francese vi sono due termini pressoché simili – originel e original – con due significati importanti per il lavoro creativo. Parlo di origini in modo originale. La mia prima raccolta, Romamor, era una riflessione sulle origini, su quelle paterne ma anche su Roma come centro della civiltà occidentale. Così in Index, anch’esso sulle origini, ma di quelle nordamericane. Dove il titolo, Index, rimanda all’India che lo scopritore pensava di aver raggiunto e la lettera finale, la x, rimanda agli errori e alla cancellazione del termine Inde [in francese: India]. E a proposito di origini, la raccolta parla anche dei primi abitanti venuti dall’Asia attraversando la Siberia e lo Stretto di Bering. Un primo esempio di immigrazione. Così anche per il mio ultimo libro, una indagine sugli antenati dal punto di vista più famigliare, ma anche universale. Da dove vengo, da dove si viene.

 

E la consapevolezza storica, di cui parlava Eliot. Che contraddistingue sia la tua prosa sia la tua poesia.

E anche Rilke, che ha affermato “Per un solo verso si devono vedere molte città, uomini e cose”. Anche I luoghi sono importanti nella mia poesia. Il legame tra luoghi e memoria. Come ben sapevano gli antichi che coltivavano l’arte della memoria ancorata all’ordine dei luoghi. 

 

Quali sono i poeti italiani che prediligi e quali possono aver avuto un’influenza se non sulla tua poesia almeno sulla tua formazione di poeta?

Direi, Zanzotto. Per il senso di libertà che ispira la sua poesia, soprattutto dal punto di vista linguistico. Il suo plurilinguismo che incorpora il dialetto con pari dignità. E la sua complessità. Un altro poeta che mi piace è Antonio Porta. Vi ritrovo lo stesso senso di libertà. E a pensarci bene, per i pochi libri che ho letto, anche Caproni. E naturalmente, Pasolini, sia la prosa sia la poesia.

 

Quando hai appreso l’italiano. Lo si parlava in famiglia?

No, a casa si parlava solo francese. Mio padre, di San Leucio del Sannio, arrivò in Québec che già parlava bene il francese per aver vissuto in Francia per alcuni anni prima di trasferirsi a Montréal. L’italiano l’ho appreso per conto mio. Il mio primo contatto con la comunità italiana è stato con Fulvio Caccia e Antonio D’Alfonso delle edizioni Guernica, i quali mi chiesero di collaborare a un’antologia di poeti italo-canadesi. Io avevo solo vent’anni, ero agli esordi. È stato allora che mi sono reso conto delle mie origini italiane. Non ci avevo fatto caso fino ad allora! Poi sono venuto in Italia con una borsa di studio per proseguire la mia maîtrise [tesi di laurea magistrale] su Francesco Giuseppe Bressani, un gesuita del Seicento che visse e scrisse sul Québec. Una storia affascinante di rapimenti, torture. Bressani scrisse una lettera al suo superiore sulla scorza di betulla con un inchiostro fatto con la polvere da sparo.  

 

Come sei arrivato a Magrelli?

A una conferenza sulla traduzione, mentre mi trovavo a Roma. È stata la prima volta che ho incontrato Magrelli e da lì è nato l’interesse per la sua poesia. Devo anche riconoscere che leggere e tradurre Magrelli mi ha incoraggiato a riprendere la scrittura, a scrivere versi, un’attività che avevo messo un po’ da parte. Mi ha ridato l’impulso a scrivere. Nella mia prima raccolta, qualcuno potrebbe sentire una nota magrelliana. Per dirla con Bonnefoy, si potrebbe parlare di “traduction au sens large”. Incontro Magrelli in veste di traduttore. Mi viene voglia di leggerlo e poi di tradurlo. Ma non solo: ne ricavo uno stimolo a scrivere io stesso e a continuare a tradurlo!

 

Qual è il livello di interesse editoriale per la letteratura italiana in Québec?

Per quanto riguarda la poesia, considerate le difficoltà finanziarie e gli scarsi supporti, è essenziale che l’editore abbia un suo specifico e personale interesse per la poesia. In genere, si tratta di poeti. È stato il caso di Paul Bélanger delle éditions du Noroît, con Magrelli. La stessa cosa per Antonio Porta, sempre con Bélanger. E ora con Exfanzia, con Stéphane Despatie e Corinne Chevarier, che sono i nuovi editori, anche loro poeti e conoscitori dell’opera di Magrelli. 

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